Politica

Legislatura costituente? Lo sia per davvero

Ogni ipotesi di ripartenza dell'Italia dipende da una legislatura costituente. Lo sarà per davvero? In anteprima l'editoriale di VITA Magazine, in edicola!

di Riccardo Bonacina

Lo hanno chiesto le parti sociali convocate da Marini durante il suo mandato esplorativo; lo dicono i due leader dei principali partiti in campo, Veltroni e Berlusconi; il ritornello delle ultime settimane di politica italiana è questo: la prossima legislatura dovrà essere una legislatura costituente. L’invito ad aprire nella prossima legislatura una fase costituente, archiviando in modo definitivo il ?bipolarismo muscolare? che ha impedito al Paese di fare le riforme, è un invito giusto e necessario ad ogni ipotesi di ripartenza dell’Italia. Purché non si risolva nell’ennesimo esercizio di ingegneria costituzionale concentrato solo sulla riforma elettorale, sui regolamenti parlamentari e sui poteri del capo di governo e dello Stato. Tutti temi da affrontare, ma non più dentro i circoli di una politica sempre più autoreferenziale, ma nel quadro di una discussione vera che coinvolga tutte le forze produttive e sociali del Paese.

Insomma, se legislatura costituente dev’essere, lo sia per davvero.
Le forze politiche in campo e i loro leader abbiano il coraggio di impegnarsi da subito in un percorso costituente di grande respiro e capace di riscrivere davvero le regole e che preveda una Convenzione costituente, composta non più e non solo dai partiti politici, ma da tutte le risorse presenti, la società civile, le associazioni, le parti sociali, tutte. Le forze politiche dimostrino di aver preso coscienza che il Paese non può essere riformato solo dalla politica. Un percorso che tra l’altro è già stato tracciato dal presidente Napolitano quando nel suo discorso di insediamento ebbe a dire: «Quando ci domandiamo – dinanzi a problemi così complessi e a vincoli così pesanti – se possiamo farcela, dobbiamo guardare alle risorse di cui dispone l’Italia. Sono le risorse delle istituzioni regionali e locali che esercitano le loro autonomie in responsabile e leale collaborazione con lo Stato e contando sull’impegno unitario della pubblica amministrazione al servizio esclusivo della nazione.

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Sono, insieme, le risorse di un ricco tessuto civile e culturale, da cui si sprigiona un potenziale prezioso di sussidiarietà, per l’apporto di cui si è mostrato e si mostra capace il mondo delle comunità intermedie, dell’associazionismo laico e religioso, del volontariato e degli enti non profit». Se la prossima legislatura, chiunque vinca, non riuscirà a darsi un respiro davvero costituente, a questo Paese non resterà davvero che la via del declino già intrapreso. La Costituzione del 1948, per i cosiddetti ?corpi intermedi? prevedeva una petizione di principio all’articolo 2, che poi nel concreto è rimasto disatteso. «Il risultato», come il professor Zamagni scrisse su questo settimanale, «è quello che abbiamo oggi sotto gli occhi: per ovviare a quella prima mancanza, si sono accumulate montagne di leggi e di riforme che hanno reso complicata la vita senza mai dare piena legittimità alla dimensione civile». Oggi in questo modo non si cresce più. È arrivato il momento di dare piena legittimità al terzo pilastro della nostra società, cioè il civile. Ecco il tema su cui né Berlusconi né Veltroni hanno finora speso una parola.

Il modello costituzionale del 1947 sacrificava la capacità decisionale rispetto all’esigenza di garantire la massima democraticità a un Paese che usciva da un’esperienza di totalitarismo. Come ha sottolineato il professor Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione della Sussidiarietà: «Oggi le esigenze sono diverse: ci troviamo a fronteggiare un’evoluzione che richiede rapidità dei processi decisionali, difficile da garantire con circa mille parlamentari a deliberare una legge. Il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo, che tutti invocano, deve però essere bilanciato con istituti che consentano realmente ai cittadini l’esercizio della loro ?sovranità? personale, recuperando democrazia sostanziale. La riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, con l’art. 118 che aveva introdotto la sussidiarietà, è stato un primo passo. Se altri necessari passi si vogliono fare, non c’è altra strada che quella di una Convenzione costituente con tutti i soggetti sociali e produttivi. Perciò per far ripartire l’Italia ci vuole una nuova fase costituente che non può risolversi dentro i confini della politica».

E Andrea Olivero, presidente delle Acli, ha così rilanciato: «Laddove dopo le elezioni la politica non ce la dovesse fare, bisogna individuare percorsi per le riforme necessarie al Paese. Promuovendo una Convenzione costituente, non basta un’Assemblea costituente composta da politici. Il Paese non può essere riformato solo dalla politica. Devono partecipare tutte le risorse presenti, la società civile, le associazioni, le parti sociali, tutte».

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