Welfare

Legge Smuraglia: il 34% in meno di credito d’imposta

Dopo la chiusura, in dieci istituti penitenziari, delle cucine dove lavoravano detenuti, le cooperative sociali lanciano l'allarme per via di una nuova vicenda che rischia di bloccarne le attività

di Redazione

Le cooperative che lavorano in carcere oggi hanno a disposizione il 34% in meno di credito d’imposta previsto dalla Legge Smuraglia. Lo stabilisce il provvedimento del 17/12/2014 a firma del Capo del DAP- Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che ha approvato la ripartizione del credito d’imposta fruibile dalle cooperative sociali che impiegano detenuti.

Il taglio è stato causato dal fatto che al DAP, nel corso dello scorso anno, sono state presentate molte richieste  di credito di imposta che hanno fatto superare il tetto dei fondi a disposione. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, alla fine del 2014, infatti, si è accorto che l’ammontare complessivo richiesto (circa 9 milioni di euro) era superiore del 34% a quanto previsto nel fondo a disposizione (6.102.828,00 euro  le risorse destinate al credito d’imposta per l’anno 2015, poi ridotte a 5.893.500,00 euro in seguito alla rimodulazione del budget disposta con nota n. 415129-2014 del 3 dicembre 2014 della Direzione Generale del Bilancio del DAP).

Gli operatori si chiedono "Come può un’impresa programmare le proprie attività se discrezionalmente le risorse a disposizione vengono ridotte del 34%?"

Non solo. Lanciano l'allarme perchè chi nel 2014 aveva 10-50-100-150 detenuti assunti si troverà nel 2015 a licenziarne 3-15-30-50 e sottolineano come chi dovrebbe, in linea teorica, favorire e incentivare i percorsi rieducativi dei detenuti, il Ministero della Giustizia attraverso il DAP, costringe le imprese sociali piano piano a chiudere.

Prima dell’emanazione del nuovo regolamento le cooperative, sia direttamente che a mezzo delle federazioni di rappresentanza, avevano fatto presente in diverse occasioni che la procedura per il credito d'imposta costituiva vincolo burocratico troppo stringente e troppo penalizzante per l’attività imprenditoriale e per le possibilità di incremento dei percorsi di inserimento.

La procedura è quella che discende dall’applicazione dell’art. 6, comma 1, del Decreto del Ministro della Giustizia 24 luglio 2014 n. 148 attuativo della Legge 193/2000 “Smuraglia” (Regolamento recante sgravi fiscali e contributivi a favore delle imprese che assumono detenuti). Detto articolo ha stabilito le nuove modalità di utilizzazione del credito d’imposta, imponendo alle cooperative interessate di presentare  “entro il 31 ottobre dell’anno precedente a quello per cui si chiede la fruizione del beneficio, una istanza presso l’istituto penitenziario” . Ora, è successo che le cooperative entro il termine di legge hanno comunicato ai propri istituti penitenziari il fabbisogno per l’anno 2015, basato sui detenuti già in forza e su quelli di prossima assunzione in base al volume delle attività e delle commesse acquisite. Come accade sempre quando la legge stabilisce crediti d’imposta previsionali, sarebbe quasi impossibile per le cooperative presentare un’istanza attendibile, perché nel dubbio e comunque in buona fede, tutti sono indotti a stime in eccesso, a causa dell’elevato turnover dei detenuti all’interno delle carceri e della variabilità in più o in meno delle commesse e delle risorse necessarie.

Coscienti del rischio che si stava profilando, le cooperative avevano anche suggerito di dividere in modo diverso la dotazione economica della Legge "Smuraglia", suddivisa oggi tra credito d’imposta (€ 6.102.828,00, poi ridotti a € 5.893.500,00) e sgravi contributivi (€ 4.045.284,00 ridotti poi a € 3.906.500,00). Era stato chiesto di aumentare di almeno un milione il fondo per il credito d’imposta e ridurre proporzionalmente quello dello sgravio contributivo, proprio per far fronte alla quasi certa insufficienza del credito d’imposta, oggi puntualmente avveratasi.
Nessuno dal Ministero della Giustizia ha prestato ascolto – sostengono gli operatori -, ogni suggerimento è caduto nel vuoto e oggi le cooperative si trovano costrette a fare i conti con un problema gravissimo, perché dovranno licenziare i lavoratori in esubero e riprogrammare al ribasso le attività per il 2015, rinunciando probabilmente a commesse già acquisite. Dal DAP è stato promesso che in corso d’anno sarà possibile rivedere gli stanziamenti, sulla base delle verifiche che saranno effettuate. Ma quale imprenditore rischia la propria attività se non può prevedere con sufficiente certezza quante risorse avrà l’anno dopo?

Gli operatori del settore paventano un rischio imminente. Forse, dopo la chiusura delle cucine in dieci istituti questo fatto conferma l’esistenza di un disegno di progressivo smantellamento del lavoro in carcere, così come oggi è organizzato e gestito dalle cooperative sociali. In un Paese alla deriva umana, economica e sociale come l’Italia ci aspetteremmo che chi è chiamato a governare riconosca e valorizzi le poche cose che funzionano e intervenga per correggere quelle che non funzionano. Nel caso del lavoro penitenziario sta accadendo esattamente il contrario. Se questo processo non verrà arrestato ci troveremo nel giro di uno, due anni ad assistere all’abbandono totale di tutte le attività lavorative vere dalle carceri italiane come successo a fine anni settanta e inizio anni ottanta a causa scelte politiche sbagliate. Qualcuno forse vuole rimanere nella storia.


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