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Legge 266: i Comitati di gestione dicono la loro

Riportiamo alcune puntualizzazioni del Presidente della Consulta Nazionale dei Comitati di Gestione, Carlo Vimercati, pubblicate su comitatovolontariato.it

di Benedetta Verrini

Riportiamo alcune puntualizzazioni del Presidente della Consulta Nazionale dei Comitati di Gestione, Carlo Vimercati, pubblicate su www.comitatovolontariato.it: La grande risonanza data dai media alle iniziative governative di riforma della Legge Quadro sul Volontariato e al dibattito acceso che ne è seguito, inducono i rappresentanti istituzionali coinvolti a vario titolo da questa riforma, a delle riflessioni e a qualche precisazione. E’ possibile rilevare, al di là delle valutazioni di ordine squisitamente politico, sulle quali naturalmente ognuno è autorizzato ad esprimere le proprie opinioni, una notevole imprecisione con cui molti cronisti, ma, e questo è più preoccupante, anche operatori del settore, hanno descritto i termini di alcune questioni in discussione. Pur comprendendo le esigenze di sintesi e di semplificazione tipiche degli organi di informazione e comunicazione, il quadro informativo risulta, complessivamente, molto insoddisfacente e decisamente poco chiaro. Spinto da queste preoccupazioni il Presidente della Consulta Nazionale dei Comitati di Gestione Carlo Vimercati (Presidente anche del Comitato di Gestione della Regione Lombardia), insieme ai colleghi Vice Presidenti della Consulta ha ritenuto opportuno scrivere una nota informativa, in cui vengono fornite alcune puntualizzazioni. RIFORMA DELLA LEGGE SUL VOLONTARIATO: SEI COSE DA PUNTUALIZZARE Nella accesa campagna di stampa di questi giorni sul progetto governativo di riforma dell’art. 15 della L. 266/91 all’esame del Parlamento sono state riportate alcune informazioni non sempre corrette e puntuali, prospettando i potenziali effetti della riforma in termini incompleti e fuorvianti. Pur senza anticipare valutazioni di merito sulle questioni dibattute, per le quali si rinvia alla riunione della Consulta programmata per il 29 aprile p.v., si ritiene opportuno fornire alcune precisazioni al fine di consentire, nel frattempo, una più puntuale e accurata riflessione. 1. I Comitati di gestione, che svolgono una fondamentale funzione di regolazione e controllo dei fondi speciali per il volontariato, sono soggetti autonomi. In essi, oltre alle fondazioni, trovano espressione sostanziale, e non solo formale, molteplici realtà socio-istituzionali del territorio: la regione, gli enti locali e non da ultime, con 4 rappresentanti, le organizzazioni di volontariato. La presenza maggioritaria delle fondazioni risponde all’esigenza di garantire ad esse, in quanto finanziatori esclusivi del sistema, una concreta e diretta possibilità di riscontro delle modalità di utilizzo dei fondi messi a disposizione. 2. Dal 1991 (anno della vigente legge quadro) ad oggi l’ammontare dei fondi speciali è cresciuto in misura esponenziale (da 7 a 180 miliardi di vecchie lire) rendendo l’ammontare delle risorse disponibili palesemente sovrabbondante rispetto alle finalità originarie della legge quadro, che erano essenzialmente la formazione, la promozione e l’assistenza tecnica specializzata alle organizzazioni di volontariato. Ne dà dimostrazione il fatto che da diversi anni, in alcune regioni, parte dei fondi viene impiegata dai centri di servizio per offrire alle organizzazioni di volontariato anche finanziamenti diretti a progetti da loro proposti. Tale prassi è stata ed è oggetto di molte contestazioni; da tempo molti operatori del settore, e più di tutti le fondazioni, reclamano un intervento del legislatore che ripristini il principio di legalità e ridefinisca in termini aggiornati i reali bisogni del volontariato e gli strumenti più idonei per il loro soddisfacimento. 3. La proposta del governo relativamente al finanziamento diretto dei progetti del volontariato non disattende le aspettative delle organizzazioni di volontariato, ma anzi le recepisce prevedendo che una quota dei fondi speciali (sino a un massimo del 50%) sia destinata a questa finalizzazione. La scelta di affidare ai Comitati di gestione e non ai Centri di servizio le procedure di assegnazione dei fondi consente di evitare l’insorgere di palesi conflitti di interesse, tenuto conto che i Centri di servizio sono amministrati da quelle stesse organizzazioni che potrebbero concorrere all’assegnazione dei fondi. Peraltro, la proposta governativa offre ai Centri di servizio amplissimi spazi di interlocuzione con i Comitati di gestione, tali da garantire meccanismi di significativa compartecipazione alle decisioni. 4. La quota del fondo speciale regionale da destinare ai Centri di servizio non è rigidamente limitata al 50% del totale disponibile. La riforma del governo prevede infatti che debbano essere garantite, prioritariamente rispetto ad ogni altra finalizzazione dei fondi, le condizioni di funzionamento dei Centri di servizio. Ciò significa che, soprattutto nelle regioni con minori disponibilità di risorse, la quota destinata ai Centri di servizio potrà essere determinata anche in misura superiore alla metà delle disponibilità, e comunque calibrata in modo da essere pienamente aderente alle necessità dei Centri. 5. L’impiego di una quota dei fondi speciali per il volontariato a sostegno del fondo nazionale per il servizio civile si affianca al finanziamento diretto dei progetti del volontariato come forma possibile di utilizzo dei fondi che residuano dopo aver finanziato i Centri. Le molte critiche avanzate verso questa nuova forma di impiego dei fondi sono da ricondurre ad una posizione di contrasto circa l’utilizzo, anche solo eventuale, dei fondi destinati al volontariato per sostenere servizi che dovrebbero essere finanziati dallo Stato. Molto difficile, e assolutamente prematura, appare la stima degli impatti che questa nuova disposizione potrebbe avere sui flussi di risorse destinati al finanziamento dei progetti del volontariato, stante il carattere facoltativo (e non forzoso) di questa forma di destinazione dei fondi. 6. La riforma governativa introduce una importante innovazione che contribuirà a rendere più equilibrato il sistema: un fondo di perequazione nazionale destinato a bilanciare la distribuzione dei fondi speciali tra le varie regioni del Paese. Al fondo sarà destinato il 20% degli accantonamenti effettuati dalle fondazioni, con successiva redistribuzione della quota tra le regioni finanziariamente più svantaggiate (soprattutto quelle meridionali).


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