Politica
Legge 185. Corazzina (Pax Christi): «Trent’anni dopo, una legge tradita»
Soltanto gli ultimi tre governi in ordine temporale, Renzi, Gentiloni e Conte, hanno autorizzalo un export di armamenti per 44 i miliardi di euro. Cosa può fare la società civile?
di Luca Cereda
Negli anni ’80 i movimenti pacifisti, le associazioni, le parrocchie e la società civile in Italia si sono unite. L’obiettivo? «Non era quello di fermare la produzione di armi, un ramo legale dell’industria di un paese democratico come l’Italia, ma quello di rivolgere alla politica domande come: dove sono destinate le armi prodotte in Italia? Quante dispositivi bellici produciamo? Quanto la corsa alla produzione e alla vendita di armamenti aiuti davvero la sicurezza nazionale e internazionale?». Queste le parole di Don Fabio Corazzina già Coordinatore nazionale Pax Christi Italia.
É dal basso, con i movimenti scaturiti dalla società civile come la Rete Disarmo, che nasce la legge 185 del 9 luglio 1990 denominata per esteso, “Nuove norme sul controllo dell’esportazione e transito di materiali di armamento”. «A distanza di trent’anni possiamo dire che la modernità di quella legge è stata tradita», aggiunte Corazzina.
Legge185/90. A trent’anni, un tradimento consumato in silenzio
«Questa legge, all’epoca tra le più avanzate al mondo in materia di trasparenza e regolamentazione della vendita di armi, chiedeva ci fosse chiarezza: sulla loro produzione, sull’esportazione e il fatturato ricavato dalla vendita». La legge 185 prevede che ogni anno alla presidenza del consiglio dei ministri sia presentato un documento con tutti i dati sulla produzione, il transito e la commercializzazione delle armi italiane. Da allora ogni anno la relazione fornita è sempre più corposa, densa di tecnicismi. Quasi incomprensibile da leggere: «L’obiettivo dei produttori è non far capire quello che accade in questo mercato», chiosa Don Fabio.
Soltanto gli ultimi tre governi in ordine temporale, Renzi, Gentiloni e Conte, hanno autorizzalo un export di armamenti per 44 i miliardi di euro. Oltre 17 miliardi di euro viaggiano nella direzione di altri paesi europei o di membri della Nato. Più della metà delle armi italiane sono destinate alla coalizione di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, attiva nel conflitto nello Yemen. Ma sono anche dirette verso paesi per così dire “problematici” come Turchia, Egitto, Turkmenistan.
Armi, il ruolo dei governi
Ammonta a oltre 100 miliardi il fatturato degli armamenti venduti dal Belpaese a stati fuori da UE e NATO. Dati e cifre che aprono profonde riflessioni sui 30 anni della legge 185. «Dopo un paio di decenni di applicazione rigorosa, i governi italiani hanno iniziato a sostenere l’export militare e a venir meno al ruolo di controllo che la norma del 1990 impone loro. Tra il 2015 e il 2019, le autorizzazioni sono state di poco superiori a quelle totali dei quindici anni precedenti», spiega Corazzina. Lo testimoniano i numeri.
Un’inversione di rotta, o almeno una discontinuità, sembra arrivare proprio in questa estate 2020. Il Parlamento è tornato nelle scorse settimane, nonostante la situazione economica e sociale drammatica legata alla pandemia da coronavirus, a discutere la relazione sull’export 2019 di armi. «La presentazione del rapporto a Roma non segnerà l’inizio di una rivoluzione copernicana, ma il confronto istituzione sul tema non avveniva da anni ed è dunque segno di una rinnovata attenzione sul mercato italiano delle armi».
Banche armate: la forza vincente della cittadinanza attiva
Il mercato delle armi è legale, ma esiste una costituzionalità e un’eticità in ciò che un paese produce, e a chi vende materiali bellici. Per produrre e commerciare armi e per effettuarne l’acquisto servono le banche. «In tutto il mondo e anche in Italia, questo mercato necessita di “banche armate” che concedano prestiti e finanziamenti, e forniscano il credito per l’acquisto di materiale bellico», afferma Don Fabio Corazzina di Pax Christi Italia. Queste banche consentono all’industria della morte di creare profitto con le vittime. Troppo spesso civili. Ed è proprio dal controllo del ruolo giocato delle banche in questo mercato che la società civile può intervenire per farsi portatrice di pace. Uno strumento è priori il report annuale previsto dalla legge 185/90. In questo modo clienti possono vedere se la loro banca figura in quelle che concedono credito ai paesi che acquistano le armi. Da questa consapevolezza deriva il potere dei cittadini di scegliere se portare via i propri investimenti o svuotare i conti in banche che finanziano la corsa agli armamenti.
Un esempio concreto: quando la società civile cambia mira, investendo nella pace
«Nel mio paese a Castenedolo in provoca di Brescia, vicino all’aeroporto militare di Ghedi, negli anni ’80 era fiorente un’industria che produceva mine anti-uomo. Delle porcherie perché su quelle bombe morivano perdevano la vita i civili, spesso bambini, anche decenni dopo che era state poste», racconta Corazzina. Il paese con le associazioni, le parrocchie ma anche semplici esponenti della società civile, hanno portato avanti una campana di sensibilizzazione sul pericolo di quegli ordigni. Campagna che si allargò a livello nazionale diventando una battaglia etica affinché fosse approvata una moratoria alla produzione e alla vendita di quegli ordigni. «Il risultato? Nel 1997 l’Italia vieta agli stabilimenti la produzione di mine anti-persona. Per ottenere questo risultato una fetta del merito va ai cittadini che informati e consapevoli grazie alle legge 185 hanno fatto pressione alle loro banche affinché cambiassero rotta e policy rispetto ai finanziamenti al mercato delle armi».
I numeri
Nel corso del 2018 sono state effettuate dagli operatori bancari n. 16.101 segnalazioni inerenti transazioni bancarie per operazioni di esportazione, importazione e transito di materiali di armamento soggette alla disciplina della legge. L’importo complessivamente movimentato, pari ad oltre 9 miliardi di euro, si determina sommando gli importi rilevabili dalle tabelle di riepilogo i cui saldi vengono di seguito riportati nei principali movimenti.
Gli “Importi accessori segnalati” comprendono anche le operazioni di finanziamento all’acquisto di armi gestite in “pool”, ovvero le apposite garanzie sono versate da entrambe le controparti (venditori e acquirenti) in un apposito conto alla Banca d’Italia, e di gestione di garanzie con periodicità annuale
Gli importi (€) della Tabella seguente fanno riferimento alle ditte di produzione di armi in Italia e alla cifra spesa dalle nazione di acquisto.
I finanziamenti per la produzione di armi nel 2019 da parte delle banche italiane o in Italia (€) (T = Totale; i. a. = Importi accessori segnalati):
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA (CAB 01000) Totale 98.825.024,56 e importi accessori (i.a.) 2.024.816,43
BANCA POPOLARE DI SONDRIO (CAB 11000), T. 189.638.925,64, i.a. 733.952,58
UNIONE DI BANCHE ITALIANE S.P.A., T. 41.940.917,86, i.a. 71.310.146,80
UNICREDIT SPA (CAB 10700), T. 1.556.304.144,92, i.a. 3.773.653.899,30
INTESA SANPAOLO SPA (CAB 01000), T. 143.270.858,52, i.a. 855.660.188,63
DEUTSCHE BANK SPA (CAB 01600), T. 793.751.149,01, i.a. 152.632.175,03
BANCO BPM S.P.A. (CAB 11700), T. 59.235.978,25, i.a. 20.657.517,49
COMMERZBANK A.G. (CAB 01600, T. 121.996.990,05, i.a. 69.848.179,11
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.