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Legambiente: «Meloni, molta politica energetica e poco ambiente»

Alla Cop27 la premier Meloni assicura che l’Italia farà la sua parte per far fronte ai cambiamenti climatici. «Ma intanto il suo governo ha annunciato che presto ripartiranno le trivellazioni in Adriatico» segnalano da Legambiente

di Luca Cereda

«L’Italia rimane fortemente convinta dell'impegno sulla decarbonizzazione, nel rispetto degli obiettivi Cop Parigi e “farà la sua parte”»: Giorgia Meloni lo scandisce nel suo intervento alla Cop27 di Sharm el-Sheikh, in Egitto, davanti alla platea dei delegati e dei rappresentanti degli Stati. «Lottare contro il cambiamento climatico è uno sforzo comune» mette in guardia il capo del governo dal summit sull’emergenza climatica apertosi oggi sotto l'egida dell’Onu. E aggiunge: «Vogliamo sviluppare la nostra strategia di diversificazione energetica – aggiunge la premier italiana –, in stretta collaborazione con alcuni Paesi africani, con cui abbiamo rafforzato la nostra cooperazione su sicurezza energetica, rinnovabili e istruzione. Questo stimolerà la crescita verde, la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo di una catena di valori sostenibili. In Europa puntiamo a ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, al più tardi. In questa prospettiva, l'Italia ha recentemente rafforzato la propria capacità installata di energia rinnovabile e accelererà questo trend in linea con gli obiettivi di RepowerEU. Intendiamo perseguire una transizione giusta per sostenere le comunità colpite e non lasciare indietro nessuno» precisa Meloni. La presidente del Consiglio aggiunge: «Siamo in un momento decisivo nella lotta al cambiamento climatico. Negli ultimi mesi, abbiamo sperimentato i suoi drammatici effetti in tutta Europa, in Pakistan, nel Corno d'Africa e in molte altre regioni del pianeta. Siamo tutti chiamati a compiere sforzi più profondi e rapidi per proteggere il nostro pianeta, la nostra casa comune. Dovremo mantenere le persone al centro e combinare sostenibilità ambientale, economica e sociale» spiega la premier italiana. Giorgia Meloni, seguita in platea dal ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, conclude: «Sappiamo come sono i disastri climatici, lo abbiamo visto, soprattutto per il dissesto idrogeologico».


«Meloni, molta politica energetica e poco ambiente»

Il governo di Meloni sembra andare in direzione totalmente opposta a quanto detto alla Cop, visto che ha annunciato che presto ripartiranno le trivellazioni in Adriatico bloccate dall’”ambientalismo ideologico”. Peccato che nel 2016, in occasione del referendum anti-trivelle fatto fallire dall’astensionismo dell’allora PD renziano, la Meloni, da capo di Fratelli d’Italia, ebbe a dire: «Andiamo a votare sì al referendum per dire basta alle trivellazioni, basta all’inquinamento del nostro mare e basta ad un governo ipocrita e servo dei poteri forti che sta affamando il popolo italiano per fare gli interessi di amici e parenti». Una mutazione radicale e non politicamente chiarita. La Meloni e Fratelli d’Italia sbagliavano quando facevano gli “ambientalisti ideologici” no-triv – partecipando alle manifestazioni anti trivelle con slogan e bandiere – o sbagliano ora cedendo ai “poteri forti” ai quali soggiaceva nel 2016 l’allora governo Renzi?

Comunque, dopo le dichiarazioni pro-triv di Giorgia Meloni, Greenpreace le ha ricordato su Twitter che «Aumentando le trivellazioni in mare il governo aggrava la #crisiclimatica. Sommando riserve certe e probabili, avremmo poco più di un anno di consumi di gas. Con impatti minimi su indipendenza e costo dell’energia. Servono invece più rinnovabili, efficienza e risparmio energetico».

Secondo il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, «Meloni parla molto di politica energetica e poco di ambiente, dimenticandosi che il gas italiano, che sia sotto il mare o sottoterra non garantirsce l’autonomia al Paese se non per al massimo 15 mesi. Crediamo che sia opportuno smettere di sovrapporre l’ambiente all’energia, la transizione italiana in questi mesi si è occupata soltanto di energia senza integrare le politiche che promuovono l’aria pulita con quelle legate alla mobilità, le norme di tutela delle aree protette che portano introiti con il turismo o politiche che agevolino l’economia circolare». Anche perché siamo di fronte a sempre più preoccupanti disastri climatici, causati da eventi estremi che hanno colpito ogni angolo del pianeta, compreso il nostro Paese. «A pagarne le maggiori conseguenze sono e saranno – continua Ciafani – soprattutto i paesi più poveri e vulnerabili come ad esempio le catastrofiche alluvioni che hanno distrutto il Pakistan con più di mille morti, milioni di sfollati e danni per oltre 30 miliardi di dollari, oppure i milioni di persone denutrite per la siccità che sta colpendo duramente il Corno d’Africa. Lo ripetiamo, non c’è più tempo da perdere. Servono impegni concreti da parte delle maggiori economie del pianeta, a partire dall’Europa con il pieno sostegno dell’Italia, non solo parole. Azioni in grado di costruire un largo consenso su pacchetto di decisioni che si traduca in un Accordo di Sharm El Sheik ambizioso e giusto in grado di fronteggiare con efficacia l’emergenza climatica».

I pilastri per salvare la Terra

Tornando a Legambiente e alla COP27 Unfccc, per il Cigno Verde «Sono tre i pilastri essenziali per un accordo sul clima ambizioso e giusto e per far in modo che la Cop27 porti a dei risultati concreti. Primo pilastro, occorre garantire un programma per adeguare gli attuali impegni di riduzione delle emissioni all’obiettivo di 1.5° C. Per attivare questo processo virtuoso è cruciale un primo passo dell’Europa».

Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente, ribadisce che «A Sharm El Sheik l’Europa, con il pieno sostegno dell’Italia, deve impegnarsi a rivedere il suo impegno di riduzione delle emissioni climalteranti (NDC – National Determined Contribution) subito dopo l’approvazione, prevista all’inizio del prossimo anno, del nuovo pacchetto legislativo su clima ed energia. Per contribuire equamente al raggiungimento dell’obiettivo di 1.5°C, l’Europa deve andare oltre l’obiettivo del 55% (previsto dal suo attuale NDC) e ridurre le emissioni di almeno il 65% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 per poter così raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Con i nuovi obiettivi di REPowerEU (45% di rinnovabili e 13% di efficienza energetica entro il 2030), secondo una prima valutazione del CAT, l’Europa potrebbe raggiungere una riduzione netta delle sue emissioni del 60-62%. Per centrare l’obiettivo del 65% serve raggiungere il 50% di rinnovabili ed il 20% di efficienza energetica entro il 2030. Un ulteriore passo in avanti tecnologicamente possibile ed economicamente conveniente, che può consentire all’Europa di risparmiare da qui al 2030 ben 10 mila miliardi di euro secondo una recente stima dell’Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW)».

Secondo pilastro è quello di garantire il necessario sostegno finanziario per un’ambiziosa azione climatica dei paesi più poveri e vulnerabili: «La finanza climatica è uno dei punti cruciali dell’agenda della COP27 – spiega Legambiente – Il successo di Sharm El Sheik dipende molto dal rispetto da parte dei Paesi industrializzati dell’impegno di garantire ai Paesi poveri un aiuto economico, nel periodo 2020-2025, di almeno 100 miliardi di dollari l’anno per contribuire a ridurre le loro emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici. Purtroppo nel 2020 il gli aiuti ai Paesi poveri hanno raggiunto appena 83 miliardi di dollari. Servono considerevoli risorse aggiuntive per sostenere un’ambiziosa azione climatica dei paesi più poveri e vulnerabili. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione permanente sulla finanza della Convenzione sul Clima (SCF-UNFCCC), sono necessari almeno 5.300 miliardi di dollari per attuare gli impegni di mitigazione e adattamento dei paesi in via di sviluppo. È pertanto importante che la COP27 formalizzi con una decisione l’impegno che il nuovo obiettivo di finanza climatica per la fase post-2025 (New Collective Quantified Goal – NCQG) non solo sia superiore agli attuali 100 miliardi di dollari, ma che orienti la riconversione di tutti i flussi finanziari verso investimenti “low-carbon and carbon-resilient”, come previsto dall’articolo 2 dell’Accordo di Parigi, con il pieno coinvolgimento delle Banche multilaterali di sviluppo».

Ma tutto questo non basta. «Per raggiungere un accordo ambizioso, in grado di porre le basi per una vera giustizia climatica – conclude Legambiente – è cruciale che alla Cop27 finalmente si decida di rivedere l’attuale architettura della finanza climatica. Questo è per Legambiente il terzo pilastro. Non solo aiuti per la mitigazione e l’adattamento. Serve un nuovo strumento finanziario (Loss and Damage Facility) per sostenere la ricostruzione economica e sociale delle comunità povere e vulnerabili messe in ginocchio dai disastri climatici sempre più frequenti. Come ha proposto il Segretario Generale Guterres all’ultima Assemblea delle Nazioni Unite, queste risorse possono essere reperite attraverso la tassazione degli extra-profitti delle imprese fossili, tenendo presente che tra il 2000 e il 2019 hanno realizzato profitti per oltre 30mila miliardi di dollari».

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