Politica

Legambiente: «Con Draghi abbiamo davvero la possibilità di fare la rivoluzione verde»

Il presidente dell'associazione, Stefano Ciafani, all'indomani dell'incontro con Draghi nell'ambito delle consultazioni non ha dubbi: «abbiamo trovato una persona competente e disponibile. L'Italia è rimasta al palo fino ad oggi per colpa della classe dirigente. Superato l'impasse potremo davvero realizzare quella transizione ecologica che da troppo tempo stiamo rimandando»

di Lorenzo Maria Alvaro

Nella giornata di ieri, nell'ambito delle consultazioni, Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia sono state ricevute dal Presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi. Un incontro che «è stato un segnale importante sulla centralità delle politiche ambientali e climatiche. Ora serve allineare il Recovery Plan italiano al Green Deal europeo con obiettivi più ambiziosi, una nuova stagione di semplificazioni, partecipazione territoriale e controlli efficaci», hanno sottolineato le associazioni.

Per Legambiente al tavolo era seduto il presidente Stefano Ciafani che si è detto «molto colpito da Draghi e dalla competenza e disponibilità dimostrate. Ora è il momento di far atterrare quella transizione ecologica che da troppo tempo rimandiamo in Italia». L'intervista



Presidente, in primo luogo le chiedo una impressione rispetto all'incontro con il presidente incaricato Draghi…
Sono molto colpito e fiducioso. Ho trovato una persona preparatissima sui temi e molto aperta al dialogo. Il fatto che abbia deciso di ascoltare anche le voci e le proposte delle tre principali associazioni ambientaliste è un segnale importante.

Il tema della transizione ecologica, e in particolare della creazione di un ministero ad hoc è balzato agli onori della cronaca per la proposta del Movimento 5 stelle. Ne avete parlato?
Draghi ci ha illustrato l'idea, che ci vede molto soddisfatti. Abbiamo sempre sostenuto l'esigenza di un ministero dedicato sul solco di quello che succede in Francia, Spagna e Svizzera. Naturalmente il punto non è accorpare in via formale i ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo Economico. Ci aspettiamo che vengano abbattuti i tramezzi e che si costruisca una nuova macchina. Assieme a questo vanno abbattute e semplificate le burocrazie. Insomma serve una vera nuova struttura ministeriale. Non basta cambiare le targhette all'ingresso degli edifici.

Detto della governance e venendo ai contenuti come Legambiente sul tavolo di Draghi cosa avete portato?
Abbiamo portato in dote tutti quei capitoli che, a nostro avviso, erano dimenticati o trattati con superficialità dal PNRR del Governo Conte. In particolare: la lotta alla crisi climatica, l'economia circolare, la mobilità sostenibile, le vertenze ambientali, il capitale naturale italiano e l'agricoltura

Tantissima carne al fuoco. Andiamo con ordine. Cominciamo con la lotta alla crisi climatica…
Alla luce dei nuovi obiettivi europei di riduzione delle emissioni di CO2 che si alzano dal 40% al 55% entro il 2030 è fondamentale rivedere il Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC) e definire nuovi target, molto più ambiziosi, sulle rinnovabili. Il necessario innalzamento degli obiettivi implica una forte crescita del contributo del fotovoltaico e dell’eolico, e dunque la necessità di ripianificare gli interventi previsti sulla rete elettrica e sugli accumuli per lo stoccaggio dell’elettricità. Per raggiungere gli obiettivi climatici al 2030 è però necessario sbloccare il settore delle rinnovabili, la cui velocità di espansione deve crescere di cinque o sei volte rispetto alla situazione attuale, con misure di semplificazione e accelerazione delle procedure autorizzative dei nuovi impianti, per i rifacimenti degli impianti esistenti, in particolare per l’eolico, promuovendo anche lo sviluppo dell’eolico offshore, specie di quello galleggiante, e dell’agrivoltaico che garantisce la convivenza tra produzione agricola ed energia solare. Inoltre è anche necessario procedere celermente ad una riforma fiscale in senso ambientale, che preveda in primis l’eliminazione graduale dei sussidi ambientalmente dannosi, garantendo una giusta transizione alle categorie produttive e ai lavoratori oggi impegnati sul fronte delle fossili.

Sull'economia circolare qual è la vostra visione?
Per fronteggiare la strutturale carenza di materie prime e diffondere su tutto il territorio nazionale le esperienze uniche nel panorama mondiale che il nostro Paese può vantare, è fondamentale sviluppare al massimo tutte le potenzialità dell’economia circolare, con la creazione di un Fondo che serva a finanziare prioritariamente progetti che riguardano i flussi di materiali e le azioni indicate nel nuovo Piano europeo per l’economia circolare dell’11 marzo 2020 con particolare riguardo agli interventi dedicati alla simbiosi industriale, al riciclo chimico, al riciclaggio dei rifiuti, all’attivazione di sistemi di riutilizzo di prodotti a quelli che producono compost e biometano, perché per tendere all’opzione “rifiuti zero” a smaltimento realizzando anche impianti con cui recuperare materia e produrre energia rinnovabile.

Sulla mobilità sostenibile il cuore del discorso era lo stop a nuovo asfalto e molta attenzione alla manutenzione dell'esistente…
Certamente. Non ci servono altre strade ed è capitale che ponti e viadotti siano sicuri. Detto questo la mobilità nelle città deve ripartire da un forte impulso al trasporto pubblico moderno, puntuale e a emissioni zero, alla realizzazione di spazi esclusivi e sicuri per chi si sposta in bici o sui mezzi della micromobilità elettrica, alla diffusione delle colonnine di ricarica e delle auto elettriche, dando priorità all’accesso alla nuova mobilità nelle periferie. In quella extraurbana va sostenuta una massiccia “cura del ferro”, si al Nord che al Sud, che permetta a milioni di pendolari di muoversi in modo civile su treni nuovi, frequenti e puntuali, e alle merci di spostarsi nel Paese passando dal mare alle città, scendendo dalle navi porta container e salendo su treni che le fanno arrivare nei centri urbani senza viaggiare su un Tir, per poi essere distribuite nelle città con mezzi elettrici. I porti vanno dotati di banchine elettrificate per liberare dallo smog le comunità che lavorano all’interno e quelle che vivono a ridosso delle aree portuali.

Avete anche parlato di ex Ilva?
Di più, abbiamo parlato proprio di vertenze ambientali. A nostro avviso le risorse europee vanno investite anche per promuovere una giusta transizione in quei territori al centro di vertenze ambientali e occupazionali molto pesanti. Oltre alla ex Ilva penso a Brindisi, il Sulcis, Gela e il siracusano. Luoghi dove sono attive ancora oggi le centrali a carbone da chiudere entro il 2025, senza sostituirle con impianti a gas. Per la riconversione dell’industria caratterizzata da produzioni e prodotti inquinanti è fondamentale promuovere l’innovazione tecnologica con cicli produttivi che riducono l’uso delle risorse e praticano esperienze di simbiosi industriale, con la costruzione di impianti della bioeconomia e della chimica verde completamente integrati alle produzioni agroalimentari del territorio, con progetti per la decarbonizzazione degli impianti siderurgici e della filiera degli idrocarburi attraverso la produzione e l’uso di idrogeno verde, identificando i settori in cui è utile e necessario, con adeguate misure di accompagnamento al lavoro.

Naturalmente non è mancato uno dei vostri cavalli di battaglia: la tutela ambientale del territorio…
È chiaro che nel progetto per ricostruire l’Italia sono necessari una strategia strutturata e progetti in grado di tutelare e ricostituire il capitale naturale italiano. All’Italia serve un piano più coerente con gli obiettivi del Green Deal, un PNRR che introduca anche obiettivi concreti e misurabili per la conservazione della biodiversità, a cominciare dall’implementazione del sistema delle Aree Protette ad almeno il 30% della superficie terrestre e marina entro il 2030 e da progetti di ripristino degli ecosistemi naturali che nel piano non hanno trovato spazio, come anche la gestione forestale sostenibile del patrimonio verde più importante del Paese. Inoltre, nel piano serve un focus dedicato al mare e alla blue economy, fonte di ricchezza economica oltre che elemento fortemente caratterizzante della bellezza che tutto il mondo invidia al nostro Paese. Occorre puntare con forza sulla tutela del nostro patrimonio naturale, asset fondamentale per la salute, la sicurezza, il benessere e il rilancio del nostro Paese (che vanta una delle più ricche biodiversità d’Europa), nonché elemento centrale del Green Deal europeo e della Strategia Europea sulla Biodiversità che soprattutto per il restauro degli ambienti marini può favorire la crescita delle aziende Hi-Tech e creare lavoro nel mezzogiorno.

Ultimo ma non per importanza c'è il capitolo agricolo. Cosa avete chiesto al presidente incaricato?
Sull’agricoltura è fondamentale puntare sull’incremento del biologico o sulla promozione dell’agroecologia per limitare l’uso di prodotti agro-chimici, il consumo di plastica, acqua e fonti fossili, e sulla riduzione delle emissioni agricole e zootecniche seguendo quanto previsto dalle strategie europee Farm to Fork e Biodiversità al 2030. Per raggiungere questi obiettivi occorre utilizzare le risorse della PAC in modo diverso da quanto fatto fino ad oggi, impiegandole per qualificare in senso ambientale l’agricoltura e per far diventare gli imprenditori agricoli coprotagonisti della rivoluzione circolare e rinnovabile al centro delle politiche europee.

Non è un piano troppo ambizioso? Fino a ieri non eravamo sicuri del contenuto del PNRR oggi immaginiamo di poter rivoluzionare completamente il Paese. È davvero possibile?
Ce lo chiede l'ambiente e tutto il mondo sta andando in questa direzione, compresi Stati Uniti e Cina. L'Italia deve procedere in questa direzione green. Non abbiamo alternative. Detto questo io sono convinto che l'Italia sia perfettamente in grado di centrare l'obiettivo. Abbiamo professionisti eccezionali, siamo in grado di costruire impianti che ci invidiano in tutto il mondo. L'Italia è l'unico Paese la mondo in cui esiste un impianto per il riciclo dei pannolini per esempio. A mancarci non è il know how ma una classe dirigente. Il nostro ritardo è imputabile esclusivamente alla mancanza di visione e coraggio delle istituzioni. Se Draghi riuscirà a sopperire a questo l'Italia non avrà alcuna difficoltà a centrare tutti gli obiettivi che si porrà.

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