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Lega euforica, i grilli nel Pd

Elezioni, I giornali analizzano i casi politici più sorprendenti

di Franco Bomprezzi

Elezioni il giorno dopo. arrivano le sorprese della bocciatura di Brunetta e di Castelli, nelle comunali a Venezia e a Lecco, ma l’attenzione dei giornali è tutta concentrata su due fenomeni: il consolidamento popolare della Lega da una parte, le difficoltà strategiche del Pd dall’altra.

CORRIERE DELLA SERA – Il dopo voto occupa le prime 25 pagine. Il titolo di apertura è “Fisco, ecco i punti della riforma”, seguito in taglio medio da “Brunetta battuto a Venezia accusa”, al nuovo volto delle Lega “Popolare e borghese” è invece dedicato l’editoriale di Angelo Panebianco. Partiamo da qui. Scrive Panebianco: «..La Lega possiede sia notevoli capacità competitive nei confronti  dei partiti d’opposizione che un tempo si sarebbero detti borghesi (come il Pdl) a debole radicamento, sia una certa potenzialità di espansione ai danni di forze popolari tradizionalmente dominanti (come appunto il Pd nelle zone rosse). A pag 2 la nota di Massimo Franco invece si intrattiene sull’opposizione “Un Pd sulla difensiva criticato dall’interno e sfidato da Di Pietro” facendo notare che «Bersani non si sente sconfitto e sposta l’attenzione sul conflitto Lega-Pdl». Il ruolo del Carroccio viene poi approfondito alle pagine 8 e 9, dove , in apertura, Bossi reclama un leghista al ministero dell’Agricoltura (che – si dice – sarebbe stato promesso a Galan), mentre tutto da leggere il dossier di Dario Di Vico (“Lega e industria. Le infrastrutture e il no al nucleare i nodi ancora aperti”, in cui si dà conto del costituendo asse Cota-Marchionne che avrebbe messo il silenziatore alle polemiche lumbard contro la Fiat e del dialogo da costruire fra la Confindustria veneta e l’antinuclearista Zaia) e il pezzo di Sergio Bocconi che rivela le posizioni dei banchieri del Nord nei confronti della Lega. Bazoli, presidente di banca Intesa: «Sono da 28 anni in banca e non ho mai fatto dichiarazioni di ordine politico, né ho mai fatto prendere alla banca decisioni influenzate dalla politica», a cui fa eco Alessandro Profumo di Unicredit che rispondendo alla domanda se le Lega sia diventata un nuovo azionista di riferimento del gruppo dice: «Noi abbiamo azionisti in tutto il mondo». Il quadro nazionale si esaurisce a pag 11 dove Veltroni attacca duramente la direzione del Pd: «Strategia fallita, esito devastante», con il sindaco di Firenze Renzi che dice: «errori prevedibili, tutta colpa dei fifoni del Pd. Nel Lazio Zingaretti e altri si sono tirati indietro, Bonino un ripiego. Il Piemonte? Cota sapeva che con Chiamparino avrebbe perso, mentre in Puglia abbiamo fatto le primarie, altrimenti perdevamo. Ora Bersani apra all’esterno e la smetta con i caminetti». Alle debacle di Brunetta e Castelli a Venezia e Lecco il CORRIERE dedica le pag 13 e 14. La spiegazione del caso veneziano secondo via Solferino sarebbe da attribuire al voltafaccia dei leghisti nell’urna dove alle comunali sono svaniti 9mila voti rispetto alle regionali. Situazione rovesciata nel comune lombardo dove è Castelli ad accusare il Pdl e in particolare l’area ciellina.   

LA REPUBBLICA – Affronta il piccolo tsunami elettorale che ha colpito l’opposizione con un editoriale interessante e ragionato del direttore Ezio Mauro. Mauro ammette la vittoria del centro destra e di Berlusconi, ma indaga sulle crepe che il risultato ha comunque evidenziato anche nel fronte vincitore. «L’indebolimento è della proposta politica e della sua capacità di guida, con il nucleo fondante di Forza Italia che ricorda la vecchia Dc declinante, negli anni in cui doveva cedere quote sempre più rilevanti di potere agli alleati con la convinzione di poter conservare il comando. Soltanto che qui la parabola non è ideologica ma biologica, nel senso che la politica e le sue scelte sono una variabile della biografia del leader, non dei valori di un partito o dei bisogni del Paese». Passando all’analisi dei numeri Mauro constata l’indebolimento dei consensi al Pdl (senza mai citare in verità il “drenaggio“ di voti per via della mancanza della lista nella Provincia di Roma). I numeri secondo Mauro dicono che «paradossalmente, dunque, il Paese è contendibile, dopo un quindicennio di sovranità berlusconiana. Questo è un dato di fatto di grande importanza, confermato dal voto. Nelle 13 regioni dove si è votato, il fragile bipolarismo italiano vede il Pdl al 26,7, il Pd al 26,1, seguiti dalla Lega al 12,28, da Di Pietro al 7,2, da Casini al 5,5 per cento». Il problema riguarda quindi il Pd. «il principale partito d’opposizione non intercetta il malcontento dell’elettorato di maggioranza, e in più produce in proprio ragioni d’insoddisfazione. Dunque non funziona né l’opposizione, né la proposta di alternativa. D’altra parte il Pd si è esercitato principalmente, in questi mesi, nella costruzione di un “meccano” di alleanze, come se la politica fosse riassumibile dalla sola aritmetica, e come se l’identità e la natura di un partito non fossero più importanti di qualsiasi tattica».
REPUBBLICA affida a Ilvo Diamanti l’analisi dell’esito più sorprendente di questa tornata elettorale: i voti della Lega. Scrive Diamanti. «Non è più così. Il successo della Lega è “normale”, perché la Lega è, da tempo, un partito “normale”. L’unico rimasto, in Italia, fra tanti partiti leggeri e mediatici. Proprio questo, forse, contribuisce a farla apparire diversa. Anche oggi che agisce come “Lega di governo”. A livello nazionale e territoriale. Basta guardare le cifre. Esprime il sindaco di 355 comuni e il presidente di 14 province. Da oggi: anche di due regioni. Alle elezioni europee del 2009 si è imposta come primo partito in oltre 1000 comuni (su quattromila) del Nord». Per il Pd può servire da lezione, dice il sociologo vicentino: «Il successo della Lega può aiutare anche il Pd e il centrosinistra a leggere correttamente l’affermazione di Vendola. Capace, in Puglia, di mobilitare la società. Di dare identità. Di marcare la differenza dagli altri. Mentre nel Pd ci si è preoccupati, all’opposto, di mimetizzarsi. Di accostare il centro come un “non luogo”. Di andare in tivù senza avere parole da dire.»
Interessante anche l’inchiesta di Michele Smargiassi sul successo della lista Grillo, “MoVimento 5 stelle” (la V maiuscola e rossa è quella del vaffa). «Sfuggono ai profili tradizionali, sono corpi bionici della politica, ibridi di vecchio e nuovo. Non si incontrano in sezione ma in un blog, però non vedono l’ora di scendere in piazza; si contano orgogliosi come nei vecchi partiti (Grillo: “sessantamila ora, duecentomila fra due anni”), ma iscriversi è facile come fare un log-in al sito, la tessera è una password e non costa nulla perché “la gratuità rende bella la politica”. Credono nella Rete come mito catartico: lo scrigno della verità che smaschera ogni complotto. Sono un incrocio di boy-scout e cyber-secchioni, volontari e computer-dipendenti.

IL GIORNALE – Analisi e commenti sotto al titolo a caratteri cubitali “Ora Silvio vada giù duro”. Vittorio Feltri scrive: «Ciò che impressiona in questo dopo elezioni  sono le risatine  di tanti esponenti della sinistra che farebbero pensare a un certa soddisfazione per il risultato. In realtà il Pd avrebbe buone ragioni per piangere. Ha perso voti a vantaggio di Di Pietro e perfino di Grillo che incerti luoghi ha avuto più consensi  dell’UdC. Il problema del Pd è che da quando ha scartato le vecchie ideologie non ha più neanche le idee al di fuori di un generico progressismo». Feltri accende i riflettori su alcuni esponenti politici. Parte con Berlusconi: «Dieci giorni nella maggioranza e nell’Opposizione c’era chi gli aveva già preparato il funerale politico. Girava la voce che avrebbe avuto un crollo nel gradimento popolare e sarebbe stato costretto a mollare. È successo il contrario e i becchini si sono trasformati in sacerdoti addetti ai festeggiamenti per la vittoria del leader. Il quale ha svoltato grazie alla manifestazione di Roma che ci era sembrata lì per lì una banalità». Su Bossi: «I malanni fisici lo hanno reso paradossalmente, più autorevole, pacato, saggio. Parla poco, ma quando parla lascia una traccia. Si è contornato di gente capace e soprattutto fedele capace di ascoltarlo e eseguire gli ordini, che in politica è raro. Sbaglia chi ritiene che la lega forte sia una minaccia per  il Premier. Bossi e Berlusconi sono l’uno la stampella dell’altro. Insieme camminano: separati si siedono». E’ la volta di Fini: «Immaginiamo che fra qualche giorno si incontrerà con il Premier. Ci sarà un punto d’intesa? Fini ha costituito il gruppo Generazione Italia e si tiene Farefuturo. Per il momento si accontenterà di questo». Casini: «Ha scelto la politica dei due forni e si è ustionato. O lui si colloca in un condominio o rimarrà senza dimora». IL GIORNALE pubblica la foto delle statuine del presepe napoletano di Berlusconi e di Caldoro, neo presidente della regione Campania a memoria della storica vittoria del centrodestra alle regionali.  Gli altri due commenti sono di Marcello Veneziani “gli elettori sono più svegli dei loro dirigenti” e di Paolo Del Debbio “ha vinto il Governo che risolve i problemi” e cita i rifiuti in Campagna, la Tav, il sisma in Abruzzo. Ludovico Testa firma un intervento che sotto la foto di Umberto Bossi  titola “L’onda verde convincerà le banche a aiutare il territorio” e nel pezzo spiega «i governatori del Carroccio sceglieranno come interlocutori i banchieri che erogano i soldi alle imprese e non i manager finanziari». 

IL MANIFESTO – «Almeno un sussulto» è questo il titolo dell’editoriale di Valentino Parlato che sottolinea come il Pd debba prendere atto della sconfitta «acutizzata dal positivo risultato ottenuto da Nichi Vendola in Puglia». Nella sua analisi Parlato sottolinea come «il territorio e la televisione marciano insieme», spiegando così la vittoria della Lega. «Queste elezioni provano che non si batte Berlusconi con gli scandali e i processi. Il paese è cambiato, viviamo in una società berlusconizzata, privatizzata, e senza più fiducia nella politica, come prova la forte crescita dell’astensionismo: il territorio e la televisione marciano insieme (…) Oggi il Pd è un partito separato dal territorio (con i lavoratori ha più contatti la Lega di Bossi), con poche e incerte idee sulla società italiana e sulla crisi che la investe (…)». Nelle pagine interne dedicate all’analisi dei risultati annunciate in prima pagina dall’apertura «Il canto del grillo», titolo a sfondare su una foto di Bersani, si parte da «La Lega va in città» ovvero «Prima folklore, poi rudi separatismi, ora fase tre: il partito leninista – doroteo, un po’ lotta e molto governo, conquista la città. Raddoppia a Padova, vola a Treviso. Vicenza e Verona, tallona il Pd a Rovigo, fa uno su tre a Belluno. La sinistra ridotta a Venezia cerca miracoli» e negli articoli si analizza il voto padano, anche nel centro sud «L’irresistibile discesa: c’è del verde tra i rossi» è il titolo dell’articolo che esordisce «Esonda la Lega, come faceva l’amato Po nelle piatte distese della pianura padana» e prosegue osservando che il Carroccio ha preso buone percentuali anche al di là dell’Emilia. 
Proseguendo nell’analisi in un box si osserva come tra i risultati da tenere in considerazione ci sia anche il fatto che tra i 48 consiglieri regionali della Calabria non ci sia neppure una donna, né tra maggioranza né tra opposizione. Sul risultato della Federazione di Sinistra «Lombardia e Campania, tramonta la stella solitaria del Prc» si legge nel titolo, per un articolo che esordisce: «Malconcia ma viva, la federazione della sinistra (Prc, Pdci più associazioni varie) deve fare i conti con risultati elettorali non esaltanti» e nell’analisi si parla di “Debacle” un po’ ovunque e di partito «asfaltato dalla lista Grillo» in Val Susa. Insomma, con l’alleanza con il centrosinistra si raccolgono 17 consiglieri e 5 potenziali assessori.

IL SOLE 24 ORE – Lega in apertura: “Maroni: ora il federalismo fiscale”. Il ministro dell’Interno traccia la road map in un’intervista a Marco Ludovico a pagina 5. Maroni dice che il presidenzialismo va bene ma solo se accompagnato dal federalismo. Sulle riforme Maroni suggerisce il modello Viminale, facendo riferimento all’approvazione all’unanimità dell’Agenzia per i beni confiscati, ieri: «Una proposta del governo, discussa e modificata in parlamento. Con grande concretezza».  L’editoriale in prima è di Guido Gentili “Tre anni per ritrovare le parole”: «Dopo il responso corroborante delle regionali, il governo Berlusconi (all’interno del quale si rafforza con tutta evidenza la Lega di Umberto Bossi) può riprendere il cammino riformista interrotto. Per colpe sue e non sue: inutile oggi attardarsi sull’attribuzione delle responsabilità. Per fortuna è un fatto che la pessima campagna cui abbiamo assistito è alle nostre spalle. (…) Al momento, il riformismo possibile va dunque ricercato entro i confini, pure molto ampi, del federalismo fiscale (la legge delega è stata approvata col concorso attivo dell’opposizione) e della riscrittura del “patto” tributario con cittadini e imprese». Il Punto di Stefano Folli invece è dedicato al Pd:  “Per Bersani il quadro non è fosco, ma la linea attendista è debole”, è il titolo: «quel che preme a Bersani è disinnescare la polemica interna, il nervosismo della minoranza di Veltroni e Franceschini. Che riesca nell’obiettivo non è scontato, visto che gli amici del segretario e i suoi avversari giudicano l’esito del voto in modo del tutto opposto: quasi una vittoria, secondo Bersani; una pesante sconfitta, a parere degli oppositori. Di sicuro il segretario non può fermarsi all’analisi di ieri pomeriggio. C’è da definire una rotta, fissare un traguardo, dare qualche indicazione certa sul sistema di alleanze che si vuole costruire. Ancora con Casini? Con Di Pietro? Con tutti e due? Eterne domande che non trovano mai una risposta soddisfacente. (…) Il fatto di resistere nei vecchi fortini in attesa di tempi migliori, dice Arturo Parisi, non garantisce che Bersani sia in grado di passare all’offensiva per recuperare consensi e spazi di manovra alla destra. In realtà nessuno sa cosa fare. Si attendono le mosse di Berlusconi e di Bossi sulle riforme. E sotto sotto si spera in Fini, nella sua capacità di incalzare il presidente del Consiglio. Il gioco in difesa continua». Miguel Gotor invece si dedica al fenomeno Lega, “Il segreto dei giovani senza fronzoli”: «La Lega vince perché ha costruito negli anni una classe dirigente giovane, ma con esperienza e competenze di governo, integrata nel territorio e forgiatasi nelle amministrazioni locali (…) Comunicano l’idea di persone concrete, serie, con pochi fronzoli, che fanno quello che dicono»

AVVENIRE – “Voglia di riforme, forse”: titola così nel primo giorno dopo i conteggi dei voti. Napolitano coglie subito la finestra dei tre anni senza elezioni e nel messaggio di congratulazioni ai vincitori riesce in poche righe a «fare una summa delle sue raccomandazioni (e preoccupazioni)», con in cima alla lista la speranza di riforme condivise, «un antidoto» contro il distacco degli italiani dalla politica. Due interviste per dire «com’è cambiata la geografia politica». Il politologo Roberto Cartocci legge questo voto sotto l’insegna di «indifferenza, insofferenza e protesta», mentre Paolo Feltrin ha segnato la definitiva bocciatura del Pd al Nord, mentre «gli esami per la Lega cominciano adesso». Una pagina ancora dedicata al successo della Lega, che conquista «il 60% del Pil nazionale, in pratica la cassaforte d’Italia», con Bossi che vuole «la macroregione del Nord» e si candida a prossimo sindaco di Milano. Sulle elezioni provinciali, il Pdl «realizza il pocker», con una «vittoria schiacciante». Mentre «a sorpresa il vento della Lega si è fermato nei seggi dei comuni». Tra le curiosità, AVVENIRE segnala che in Toscana, dove la Lega ha conquistato il suo primo consigliere regionale, la Lega ha scelto un italo-brasiliano, Antonio Gambetta Vanna. 

LA STAMPA – Apre con “Berlusconi: e adesso le riforme”. L’editoriale è del direttore Mario Calabresi che analizza gli esiti elettorali delle consultazioni regionali. “Le emozioni, la ragione e la realtà” il titolo. «La distanza tra la parte razionale e quella emotiva del cervello certi giorni appare immensa e insormontabile. Soprattutto se una parte dei cittadini, dei giornalisti e dei politici usa soltanto la prima e una parte consistente degli elettori invece va alle urne guidata dalla seconda. 
Ieri mattina le analisi del voto e del successo della Lega, che in cinque anni ha raddoppiato i suoi consensi, parlavano di federalismo, di protesta e di voglia di rottura. Le motivazioni di chi ha scelto il partito di Umberto Bossi appaiono invece completamente diverse e si richiudevano in tre parole: serenità, normalità, sicurezza. Questa distanza di percezione e interpretazione ci racconta che anche in Italia politici e analisti fanno riferimento solo ad una parte della nostra mente, quella più fredda, razionale e calcolatrice, cadendo così in errore e restando spiazzati di fronte ai risultati elettorali». Poi Calabresi cerca di spiegare il successo del Carroccio: «Il successo della Lega non penso sia figlio delle battaglie sul federalismo, o almeno non in modo preponderante in questa fase, ma nasce dalla voglia di dare il consenso a una formazione politica che viene vissuta come più prossima, più vicina e che parla un linguaggio di certo assai semplificato ma diretto e comprensibile. Difficile ignorare che i toni e le battaglie contro gli immigrati e l’integrazione hanno creato apprensioni e disagio in molti, così come appare irritante una semplificazione della realtà che tende ad identificare il diverso come ostile, ma leggere la vittoria di Bossi come uno scivolamento del Paese nel razzismo sarebbe ingannevole e non spiegherebbe cosa è successo». Tanti gli esempi che il direttore porta a conforto della sua tesi come il fatto che «la sede della Lega a Torino, il luogo dove è stata festeggiata la conquista del Piemonte, si trova a Barriera di Milano, in una delle periferie più difficili della città e gli arredi si limitano a foto di militanti sui muri e ad una serie di sedie di plastica verde» oppure il suo primo incontro con Roberto Cota «gli ho chiesto di spiegarmi quali erano le prospettive politiche della Lega in Piemonte e lui mi ha risposto parlandomi per un quarto d’ora sui danni della grandine. Mi sembrava un marziano, ma i risultati della Lega nelle campagne del Cuneese come in quelle del Veneto ci dicono che anche lì c’era uno spazio vuoto che da tempo aspettava di essere riempito». Spazio anche a Silvio Berlusconi che «ha visto un calo dei suoi voti, ma la politica di alleanze che ha messo in piedi 16 anni fa ancora regge e il suo potere di seduzione non si è esaurito. Non è certo tutto merito suo, ma anche della stanchezza di un elettorato che non vede maggioranze o progetti alternativi capaci di spingere ad un cambio di direzione». Dunque la conclusione, che sembra indirizzata prima di tutto al Pd «la differenza la fanno la capacità di intercettare i bisogni, i desideri e le paure degli elettori e, facendosene carico, dare risposte concrete in un quadro che abbia come riferimento proprio le regole, la legalità e la separazione dei poteri. Non si può pensare che una battaglia, per quanto corretta e incisiva, sulle firme, sui timbri o sulle procedure di presentazione delle schede sia capace di invertire il risultato di un’elezione, di rispondere ai bisogni dei cittadini».
In prima pagina oltre all’editoriale trovano collocazione due opinioni. La prima di Michele Ainis, “Astensioni, l’8 per mille della politica” analizza l’astensione che ha fatto registrare «la più bassa affluenza della storia repubblicana: il 64,2%». Ainis invita i politici ad ascoltare il popolo del non voto. L’altra opinione invece è di Luigi La Spina e titola “Il Pd nel vicolo cieco”.


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