Formazione

Leconte a lieto fine

Un film che racconta una storia normale di ricerca del successo e di perdita di senso delle cose. Raccontato senza moralismi, e con un finale rassicurante. Ma non banale

di Maurizio Regosa

Quando le nubi dei cinema pieni di scemenze natalizie si addensano sul pubblico, la fuga sarebbe la soluzione più naturale. Nonostante ciò un folto esercito di maso-spettatori si presenta anno dopo anno al botteghino. Per la felicità di produttori e registi un tanto al chilo.

Meno male che ogni tanto anche nei paraggi della festa più importante dell?anno fanno capolino pellicole divertenti, intelligenti, garbate, di gusto come appunto questo Il mio miglior amico diretto dall?ottimo Patrice Leconte. Che è un regista di lungo ma non prolifico corso (da L?insolito caso di Mr. Hire al più recente Confidenze troppo intime), attento e sottile indagatore di fenomeni non eccessivamente rumorosi, quotidiani al limite e perciò tanto più toccanti. Nel senso che riguardano tutti: ciascuno si potrebbe specchiare infatti in François, mercante d?arte parigino che per i soldi si è mangiato l?anima e ha dimenticato come si fa a guardare negli occhi qualcuno con l?intenzione di mettersi davvero all?ascolto. Non gli bastano i segnali della figlia né quelli della compagna: la sua disattenzione è talmente radicata che solo a causa di una aperta provocazione si ferma un istante a chiedersi cosa sia l?amicizia per lui. Naturalmente anche in questo caso è una domanda per modo di dire: ciò che conta non è la risposta, quanto come arrivare a vincere la scommessa. Ma le vie di una presa di coscienza, suggerisce Leconte, sono molte. Passano persino attraverso i fraintendimenti, le manipolazioni, le cattiverie più o meno utili? E così alla fine la favola bella può dispiegare il suo finale grazioso, tenero, se volete rassicurante (ma chi l?ha detto che ogni tanto non ci si debba rassicurare?).

Costruito assai bene (in particolar modo la prima parte, meno la seconda nella quale prende un po? troppo il sopravvento il pathos delle conclusioni), dialogato con battute finissime, interpretato da un attore di fama come Daniel Auteuil e da un meno noto (ed egualmente bravo) Dany Boom, Il mio miglior amico dà una rappresentazione sorridente ma tutto sommato severa di un modo di vivere in cui tutto si è fatto commercio, in cui non ci si chiede più che senso abbiano le proprie scelte, in cui la parola progetto è divenuta obsoleta, un po? come ?marchingegno? e ?diavoleria??

D?altra parte però lo sguardo di Leconte è troppo intelligente per farsi arcigno o moralista. Il regista osserva quegli esserini agitarsi nello stagno della vita e cerca come può di alleviare le loro sofferenze, raccontandole.


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