Educazione finanziaria

L’economista Rinaldi: «Donne, parliamo di soldi»

Perché è importante, oggi più che mai, che le italiane abbiano una competenza finanziaria? Lo abbiamo chiesto ad Azzurra Rinaldi, economista e founder di Equonomics, che ha dato il via a “Oltre il Rosa”, ciclo di incontri online di Bper Banca. «Il 42% delle italiane non ha un conto corrente individuale»

di Ilaria Dioguardi

Economista, co-founder di Equonomics, direttrice della School of Gender Economics presso l’Università Unitelma Sapienza, Azzurra Rinaldi ha tenuto il primo degli appuntamenti gratuiti di “Oltre il Rosa”, webinar di 10 incontri di Bper Banca. Il secondo è previsto il 6 novembre e proverà a rispondere alla domanda «Perché è importante essere autonome nella gestione del denaro?», con il supporto di dati di contesto internazionali. Seguiranno altri otto incontri fino a marzo 2025, con l’obiettivo di contrastare la violenza economica e migliorare le competenze finanziarie, con particolare attenzione al mondo femminile. «Con “Oltre il rosa” cerchiamo di rispondere alle tante domande e proponiamo strumenti pratici per migliorare le competenze finanziarie, con un linguaggio semplice. C’è, ora più che mai, bisogno di arrivare a tutte le donne».

Rinaldi, il primo webinar organizzato con la sua collaborazione ha visto le iscrizioni esaurirsi molti giorni prima dell’evento, a dimostrazione del fatto che è un tema quanto mai necessario. Perché è così importante oggi parlare di educazione finanziaria?

È così importante perché, secondo gli ultimi dati di Global Thinking Foundation, noi siamo un Paese in cui il 42% delle donne non ha un conto corrente individuale. Secondo Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), il 22% delle italiane è in una condizione di dipendenza economica. Lavora una donna su due, le donne sperimentano spesso la violenza economica, lo sappiamo anche dai centri antiviolenza. Ne sono spesso vittime inconsapevoli, a volte non la sanno nemmeno riconoscere, perché alcuni comportamenti della violenza economica sono totalmente normalizzati. Ad esempio, il partner che controlla lo scontrino per vedere quanto hai pagato per la spesa quotidiana, quello che ti obbliga a chiedere ogni giorno cinque euro per il pane e il latte sono comportamenti di violenza economica, ma ormai sono normalizzati.

Azzurra Rinaldi

Parlarne è indispensabile, non possiamo più rimandare. Da un lato, dobbiamo fare formazione, dall’altro dobbiamo lanciare dei segnali di allarme per dire che, se si vedono comportamenti di questo tipo, già quella è violenza economica. Ma molte donne non lo sanno. Anzi, da ricerche sulle persone giovani emerge che i comportamenti di controllo, di gelosia vengono confusi con l’amore. Questo accade anche in ambito economico.

In che modo avviene, in ambito economico?

Ad esempio, alcune donne dicono: «Il mio partner non mi fa lavorare perché c’è lui che provvede a me». E quello viene scambiato per un atto di amore. È un atto di controllo, il partner che blandendoti che si prende cura di te e impedendoti di lavorare, ti tiene lontana dalla tua possibilità di essere, autodeterminata. E così le donne non hanno un ambito (quello lavorativo), che può diventare una via di uscita dall’eventuale spirale della violenza.

Il 42% delle donne non ha un conto corrente individuale, il 22% è in una condizione di dipendenza economica

Azzurra Rinaldi, economista

Nel primo incontro di “Oltre il rosa” di Bper ha colpito la trasversalità del pubblico.

A me interessa veramente arrivare alle persone, per me diventa uno degli atti di cura. Se ho la possibilità di parlare a qualche centinaio di persone, mi interessa tantissimo che abbiano la possibilità di capire, che non è scontato. Una figura tecnica come la mia, un po’ corre il rischio di parlare a sé o alle persone simili a sé. A me sta a cuore invece, che questi argomenti possano arrivare a più persone possibili.

Che relazione hanno le donne con il denaro?

Quella tra le donne e il denaro è una distanza creata socialmente, è funzionale al sistema, per un motivo molto semplice. Se il sistema si basa sul fatto che noi siamo in casa a farci carico del lavoro di riproduzione e di cura gratis, se tantissime di noi donne capiscono che la loro libertà passa per il denaro il sistema crolla. Da qui la necessità di seguire un canone di adeguatezza, di femminilità. Si dice spesso che una donna che parla di soldi non sia femminile, non sia adeguata, sia volgare.

Cosa si potrebbe fare per eliminare questa distanza tra le donne e i soldi?

Parlare di educazione finanziaria nelle scuole sarebbe già una rivoluzione, aiuterebbe le bambine a entrare da piccolissime in contatto con l’idea dei soldi. Ci sono degli enti, delle società (e anche noi come Equonomics), che entrano nelle scuole e aiutano a normalizzare la conversazione con il denaro. Poi c’è quello che ogni giorno ognuno di noi può fare.


Cosa può fare ognuno di noi?

Se io stasera ad un aperitivo con le mie amiche tiro fuori l’argomento dei soldi, chiedo quanto guadagnano, se sono libere professioniste, diventa un atto militante. Aiuta a superare il fatto che le aziende, i datori di lavoro con noi donne non parlano di soldi, di aumenti, quindi lo facciamo da sole. C’è da scardinare il sistema della vergogna. Nel sistema capitalistico in cui viviamo, tanto più dopo la globalizzazione, il valore di noi come persone viene misurato da quanti soldi guadagniamo, che è una cosa assurda. Questo misura la mia professionalità, il mio impegno, le ore che dedico al mio lavoro, ma certo non dice niente di me come essere umano. Dice qualcosa di me come professionista, eventualmente. Ma questo in un sistema giusto, ci sono dei professionisti bravissimi che sono pagati una miseria, quanto si guadagna non dice veramente niente di una persona. Fare questo lavoro mi porta a parlare con tante donne. Me ne viene in mente una, in particolare.

Ci racconti.

Una donna, durante un evento, qualche tempo fa mi ha detto: «Non parlo di soldi perché non ce li ho, sono povera». Io ho provato un’ammirazione profondissima per la semplicità con cui ha parlato di sé, senza senso di colpa, senza senso di vergogna e di inadeguatezza. Per lei era totalmente chiaro il fatto che questo non diceva niente di lei come persona: tra l’altro aveva studiato, aveva una formazione. Sapeva che il fatto di essere povera non aveva molto a che fare con lei, ma che parlare di soldi era difficile perché non ce li ha. E ne ha parlato ad una conferenza con 80 persone davanti. Dobbiamo finalmente prenderci il potere di parlare di un argomento che, secondo i canoni di adeguatezza, per una donna deve rimanere a margine.

Su questi temi com’è la situazione dell’Italia, rispetto al resto del mondo?

Siamo messi malissimo. Su 146 Paesi analizzati nel Global gender gap report, siamo in posizione 111 per opportunità e partecipazione economica. E questo ci toglie da ogni comparazione, perché sopra di noi ci sono tutti, rimangono sotto Paesi come Iraq e Afghanistan. Per differenza tra reddito guadagnato da donne e uomini, il nostro paese è al posto 108. Il dato che dicevo prima (il 22% delle donne in Italia è in una condizione di dipendenza economica) è surreale, doloroso, pensiamo che in Germania e in Austria sono il 5%, in Slovenia il 7%, in Polonia il 10%.

Su 146 Paesi analizzati nel Global gender gap report, l’Italia è in posizione 111 per opportunità e partecipazione economica delle donne, al posto 108 per differenza tra reddito guadagnato da donne e uomini

Il tema dell’educazione finanziaria quanto è connesso a quello della violenza economica?

La deputata Martina Semenzato, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio nonché su ogni altra forma di violenza di genere (di cui sono consulente), ha voluto incentrare la sua presidenza sulla violenza economica. Perché con la lucidità di un’imprenditrice quale è, ha detto che non ci può essere libertà, non ci può essere empowerment delle donne senza indipendenza economica. È veramente un momento maturo, siamo in un Paese in cui ci sono molti femminicidi, lo scacco della violenza economica è solo uno; in un sistema produttivo come il nostro è fondamentale arrivare alle donne e dire loro che, quando sono madri e sono stanche (lo sappiamo che gli asili nido sono pochi), devono cercare in ogni modo di non lasciare il lavoro perché spesso non rientrano mai più. E così perdono per sempre il treno dell’indipendenza economica e rimangono dipendenti tutta la vita. Le ricerche di neuroscienza applicate all’economia ci dimostrano una cosa molto importante.

Quale?

Che è vero che quando noi spendiamo soldi perché compriamo delle cose abbiamo il picco di dopamina, dell’ormone della felicità. Ma quando i soldi sono i nostri. Quando non lo sono è più basso perché lo sappiamo che in cambio dobbiamo dare qualcosa, che dobbiamo eventualmente identificare la spesa che dobbiamo dare. E il tutto si complica.

Ci spieghi meglio.

Il problema è tutto quello che accade prima di un atto violento, di un atto abusante. L’idea del possesso, del controllo è uno dei tasselli del puzzle di violenze, appunto una è quella economica, di cui si parla troppo poco e a volte male. Nel momento in cui un partner non fa più lavorare una donna, la allontana dalla rete sociale, la convince di non essere all’altezza di molte cose, e quando arriva uno schiaffo è già tardi. Il lavoro di violenza psicologica fatto fino a quel momento convince la vittima che, quasi quasi, lei quello schiaffo se lo merita. E finisce per crederci che non era poi così brava al lavoro, che non è brava come madre. Quando arriva l’atto che lascia il livido su una donna, prima ce ne sono stati migliaia che non hanno lasciato quel livido sulla pelle.  

Cosa bisognerebbe offrire alle donne, affinché capiscano l’importanza dell’indipendenza economica?

Più strumenti di consapevolezza, di indipendenza e di autodeterminazione si danno a una fascia di popolazione che è marginalizzata, ma che non è minoritaria, quanto più queste donne prima o poi si stuferanno perché non c’è equità e giustizia. C’è tanta confusione. I soldi non sono l’amore, ci sono altri modi per dimostrarsi l’amore che non siano la comunione dei beni e il conto cointestato.

Foto di apertura di Fabio Cimaglia di Agenzia Sintesi.

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