Sostenibilità

L’Economist critica “No Logo”: le marche sono utili

Altro che strumenti di oppressione, i brand criticati da Naomi Klein in realtà sono preziosi alleati dei cittadini. L'Economist spiega perché

di Carlotta Jesi

“I brand, o marche, come McDonald’s, Gap e Nike, non sono affatto strumenti di oppressione sui cittadini. Né, tantomento, simboli di uno stato fascista dove i cittadini venerano il logo e hanno poche possibilità di critica perché tutto è controllato dagli interessi delle multinazionali come spiega Naomi Klein in “No Logo”. A sostenerlo è l’Economist nel numero in edicola da oggi, che in copertina trasforma il titolo del besteller della Klein in “Pro Logo: perché le marche fanno bene”. Secondo il settimanale, infatti, che al tema dedica una lunga e documentata inchiesta, i brand sono nati nell’era della rivoluzione industriale non per sfruttare i consumatori, ma per proteggerli. Per i lavoratori che si spostavano dalla campagna alla città, comprare cibo di marca era una garanzia, un modo per essere sicuri di non trovare insetti nel piatto. E se le distanze hanno creato il bisogno di brand nel diciannovesimo secolo, nell’era di Internet e della globalizzazione di loro c’è ancora più bisogno. Chi si fiderebbe a comprare un libro da una casa editrice di Seattle digitando in Internet il numero della sua carta di credito se l’esperienza non gli avesse insegnato che può fidarsi di Amazon? Poiché la fiducia del consumatore è alla base del successo di un brand, le compagnie che lo posseggono hanno tutto l’interesse a non deludere questa fiducia. Inoltre, sostiene l’Economist, dove non ci sono brand, come in Unione Sovietica o nel settore pubblico, i cittadini non hanno scelta. Cosa devono trarre da questo discorso i seguaci di Naomi Klein? Il settimanale non ha dubbi: i no global possono usare il potere dei loghi e dei marchi contro le multinazionali portando le prove di lavoratori discriminati e fiumi inquinanti. E questo, paradossalmente, proprio grazie alla globalizzazione che consente di portare le loro campagne in tutto il mondo. Se così facendo riusciranno davvero a fare gli interessi di chi sostengono di difendere, si vedrà. Ma rimane il fatto che i marchi danno agli attivisti un potere sulle multinazionali che altrimenti non si sarebbero mai sognati. Le aziende potrebbero non essere d’accordo su questo punto, ma è davvero difficile capire perché i nemici del “fascismo del logo” si lamentino.

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