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L’economia sociale punti in alto. Il suo compito? Cambiare le regole del gioco

Il cambiamento generato dall'economia sociale non riguarda solo la sua capacità di trasformare il sistema economico e sociale attraverso i numeri e le azioni delle organizzazioni coinvolte. La sua vera forza risiede nella capacità di influenzare il sistema nel suo complesso

di Paolo Venturi

Prima di esplorare il rapporto tra l’economia sociale e l’impresa sociale, è cruciale riflettere sul concetto di cambiamento in questo contesto storico. L’economia sociale è vista come una grande opportunità di trasformazione per l’intero sistema, non solo per i soggetti che ne fanno parte. Tuttavia, il cambiamento generato dall’economia sociale non riguarda solo la sua capacità di trasformare il sistema economico e sociale attraverso i numeri e le azioni delle organizzazioni coinvolte. La vera forza dell’economia sociale risiede nella sua capacità di influenzare il sistema nel suo complesso, ossia nel suo potere d’influenza. Un potere da riscoprire e insito nelle aspirazioni delle persone che sono all’origine della biodiversità dell’economia sociale. Quello che Vaclav Havel chiamava “il potere dei senza potere” è il codice sorgente tanto dell’azione quanto della motivazione delle istituzioni dell’economia sociale. È un potere che nasce dalle aspirazioni e non dalle “regolamentazioni”. Le trasformazioni possibili possono fiorire solo da una rinnovata consapevolezza e responsabilità personale.

La sorgente mutualistica dell’economia sociale

L’economia sociale italiana si caratterizza per numeri significativi: 450mila organizzazioni, 1,9 milioni di lavoratori, e oltre 90 miliardi di euro di fatturato. Questi dati fotografano il peso rilevante nel sistema economico, con l’8% delle imprese e il 9,5% degli occupati. In Italia, l’economia sociale è a matrice cooperativa (costituisce il 16% delle unità ma rappresenta oltre il 50% del valore aggiunto e oltre il 70% degli occupati). Questa evidenza esplicita il fattore che sta alla base del potenziale trasformativo di queste istituzioni: il fattore mutualistico. È infatti questo elemento sorgivo, l’elemento in grado di fare la differenza e che incorpora sia la socialità sia la capacità di impattare sul futuro. La riscoperta di questo meccanismo di creazione e condivisione del valore non può essere surrogata da un vago afflato sociale. L’idea di separare la ricchezza dalla solidarietà ha prodotto profonde distorsioni ed è alla base di molte disuguaglianze. L’universalismo postula il mutualismo. Le ricerche dimostrano che i territori con un alto capitale relazionale sono la premessa per la crescita dell’economia sociale: un binomio in grado di fare la differenza tanto nell’inclusione quanto nella competizione.

L’economia sociale oltre i riduzionismi

In tutte le grandi opportunità son nascosti grandi rischi. Fra i tanti quello che occorre scongiurare (sia dall’interno che dall’esterno) è quello di ridurre il fine di questo diverso “perimetro economico” collocandolo fra gli strumenti utili a correggere e riparare i fallimenti di Stato o Mercato o gli shock che abbiamo vissuto. L’economia sociale è molto di più di un dispositivo per “diluire” gli effetti negativi del capitalismo estrattivo, è molto di più di uno strumento per erogare servizi, è molto di più di un “aggregato” di istituzioni in grado di potenziare la “S” di Esg. Il valore di questa economia sta nel destrutturare e risocializzare il nuovo modello di sviluppo che tocca l’economia tutta e che influenza le transizioni in atto. L’economia sociale può contribuire al cambiamento, se cambia le regole del gioco. Il ruolo delle policy non sta pertanto nel definire regole e incentivi, ma nel liberare il tutto il potenziale di un diverso modo creare valore, allestendo un ambiente sussidiario e incoraggiante.  In gioco non c’è appena la “socializzazione dell’economia” ma la sua profonda innovazione, resa possibile dall’introduzione della reciprocità e del mutualismo nell’arena del mercato. 

Il ruolo dell’impresa sociale e delle reti

L’impresa sociale in questa arena, da sempre, ha un ruolo peculiare e irriducibile: alimentare nuove servizi e imprese orientate all’interesse generale della comunità, attraverso la libertà contributiva delle persone. Robert Castel, nel suo libro “L’insicurezza sociale”, ha evidenziato che l’aumento della paura e dell’incertezza non sia dovuto solo alla carenza di servizi, ma anche alla mancanza di un processo capace di governare i rischi attraverso una “impresa collettiva”. Un tema questo che vale una missione. Ridurre l’isolamento e l’insicurezza, promuovendo nuove soluzioni che mutalizzano e innovano le politiche sociali, è lo scopo dell’impresa sociale del futuro. Le reti di impresa sociale, nate per potenziare e rendere sistemica la crescita della cooperazione sociale, devono oggi essere ridisegnate per rispondere a queste nuove sfide. Perché ciò avvenga, oltre ad un investimento feroce e profondo in competenze, è indispensabile rifondare la propria missione e le proprie strategie intorno a tre pilastri: tornare ad essere comunità pensanti e non solo calcolanti, alimentare e condividere legami (fra diversi) dentro e fuori la propria rete e recuperare “la dimensione culturale” del lavoro e dell’intrapresa sociale. Questo implica un nuovo lavoro educativo e di apertura pragmatica, che deve coinvolgere tutto il sistema fino a influenzare le politiche pubbliche (non il contrario).

Foto: Paolo Venturi (il secondo da sinistra) sul palco della Covention Cgm 2024 che si è tenuta a Bologna



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