Economia

L’economia italiana tra illegalità e criminalità

Quanto “conta” l’economia criminale? E’ questa una delle domande alle quali il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha dato una risposta durante la sua audizione alla Commissione Antimafia avvenuta ieri

di Marco Marcocci

Quanto “conta” l’economia criminale? E’ questa una delle domande alle quali il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha dato una risposta durante la sua audizione alla Commissione Antimafia avvenuta ieri.

Il Governatore, riprendendo anche quanto da lui detto durante l’analogo intervento dello scorso novembre, ha illustrato l’attività svolta dalla Banca d’Italia in materia di contrasto alla criminalità economica a al riciclaggio. Un lavoro complesso, nel quale non è consentito abbassare la guardia.

Non esiste una definizioni univoca di economia illegale e di economia criminale. Così, secondo l’Istat, sono ritenute illegali sia le attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono vietati dalla legge, sia quelle attività che, pur essendo legali, sono effettuate da operatori non autorizzati.

L’economia criminale, invece, ha un significato restrittivo. Può essere considerata come l’economia che offre beni e servizi illegali, si basa su un’organizzazione stabile con proprie risorse, svolge le attività regolamentandosi con norme interne, spesso basate sulla violenza e persegue, come le imprese, obiettivi legati al profitto.

Il Governatore ha quindi spiegato che «la natura dei fenomeni, sommersi per definizione, rende complessa qualunque misurazione oggettiva».  Di conseguenza sarebbe meglio «ritenere più significative le stime relative agli effetti sul sistema – in particolare sull’economia – rispetto a quelle sugli ammontari movimentati dall’economia criminale».

Tuttavia, nonostante le misure del fenomeno siano di varia natura e presentino debolezze metodologiche, le analisi sono concordi nell’evidenziare gli  “effetti negativi significativi sulle principali variabili che influenzano la crescita di una nazione”.

Non per niente sembrerebbe che tra il 2006 ed il 2012, proprio a causa del fenomeno criminale tricolore, in Italia sono mancati 16 miliardi di investimenti esteri ossia il 15% in più di quelli effettivamente entrati nella penisola nel periodo.

Il valore dei mercati illegali è poi stimato secondo differenti approcci. Ad esempio i dati dell’Istat sull’economia illegale, intesa come commercio di sostanze stupefacenti, attività di prostituzione e contrabbando di alcool e tabacchi lavorati rilevano che nel 2011 il suo peso sarebbe stato complessivamente pari allo 0,9 per cento del PIL, valore simile a quello della Spagna e lievemente superiore a quello del Regno Unito (0,7 per cento). Le stime di Transcrime, che prende in considerazione i proventi dei mercati della droga, del traffico in armi, del traffico in prodotti del tabacco, della contraffazione, del gioco, delle frodi fiscali, valutano tali mercati in circa 110 miliardi di euro in Europa, di cui poco meno di 16 in Italia (1 per cento del PIL, percentuale simile a quella di Spagna e Irlanda ma inferiore alla Grecia e ad alcuni paesi dell’Europa orientale). Vi sono poi le stime che si basano sulla quantità di moneta in circolazione, che suggeriscono che l’economia illegale in Italia nel quadriennio 2005-2008 potrebbe pesare per oltre il 10 per cento del PIL.

Da qualunque angolazione venga scattata, la fotografia rimane sempre nitida ed il fenomeno preoccupante.

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