Da tempo ormai il mondo ha creato surrogati a tutte le forme di relazione umana e così è avvenuto anche per esprimere la relazione che parte dalla condivisione.
Con una delle tante traduzioni anglofone, si è definita tale la collaborazione materiale fra persone che hanno un obiettivo similare: così si è affermato il concetto di sharing
Ma l’esistenza di un obiettivo similare, per raggiungere il quale si utilizza lo stesso strumento materiale al solo fine di ridurre i costi, non ha nulla a che vedere con la logica della condivisione, dal mettere in comune la stessa esistenza fra persone, per raggiungere un obiettivo comune, per produrre una crescita equa e sostenibile e non solo per loro, ma in una logica di bene comune. Nonostante ciò, il concetto di “sharing” – che potrebbe piuttosto costituire una modalità per cooperare al superamento di un bisogno – si è affermato come modello di “condivisione”, fino al punto di far pensare che non esista altro modo per affermarla.
La “sharing” è diventata soprattutto un fenomeno economico di “Economia collaborativa”, semplicemente per indicare un modo di distribuire beni e servizi che differisce dal tradizionale concetto di economia di mercato, raggiunto attraverso l’uso di beni e servizi fra più persone in modo peer-to-peer e sulla base di meccanismi di fiducia e reputazione, utilizzando molto la tecnologia per agevolare le transazioni.
Eccolo un altro surrogato, la sharing ha stabilito nuove categorie per sentimenti come la “fiducia” e la “reputazione” che storicamente sono alla base delle relazioni comunitarie e che si formano con il tempo e la pratica.
Nella sharing invece, basta un contato virtuale per stabilire una relazione, che, come tutte le relazioni virtuali, è effimera e instabile. Non è necessario conoscere gli interlocutori, non è necessario stabilire un percorso di conoscenza, non è necessario persino che l’esperienza sia positiva.
È necessario, pertanto, fare ordine e ripristinare antichi e consolidati concetti di relazioni comunitarie, le uniche ad avere un effetto davvero generativo ed a porre basi per un futuro.
Va specificato anche che la sharing si afferma in maniera coerente e correlata alle logiche del mercato, per provare a tamponarne gli effetti negativi per la qualità di vita delle persone, per abbatterne i costi, per limitare l’inevitabile emarginazione di chi ha meno possibilità di altri.
È giunto il tempo di restituire all’Economia di condivisione il suo significato originario e originale e chiarire che la Sharing Economy è una forma di Economia della collaborazione.
L’Economia di condivisione è espressione del carisma dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi, ha origine nella scelta di condividere la vita con i poveri ed ha quale obiettivo la RIMOZIONE DELLE CAUSE che producono l’ingiustizia, realizzando l’ecologia integrale, che rispetta la dignità delle persone e anche il pianeta e costituisce l’alternativa possibile all’Economia volta al massimo profitto.
Nella Sharing, come in tutte le forme dell’Economia di mercato, tutto è subordinato all’interesse economico di chi è più forte e può affermarsi su chi è più debole, tutte le relazioni possono essere occasionali, episodiche, funzionali.
Questo tempo – ma è così ormai da molto tempo – ha insegnato che, viceversa, Tutto è connesso e che alle logiche profittevoli del mercato, occorre sostituire la conversione ecologica, il cambiamento nello stile di vita e una forte azione politica nella società.
Non chiediamo più, pertanto, alla Sharing Economy di occuparsi del destino dell’umanità, ma riconduciamola a ciò per cui è nata, ovvero per consentire a persone con bisogni similari di raggiungere uno scopo al minor prezzo.
Chiediamo, viceversa all’Economia di condivisione, insieme a tutte le forme di Nuova economia civile, di rispondere al grido della Terra e al grido dei poveri.
In effetti, il Pianeta sta urlando il suo disagio ed altrettanto stanno facendo i poveri, ma nonostante la crescente criticità della condizione umana e della condizione delle risorse naturali, tutto il nostro pensiero, ci piaccia o non ci piaccia, è strutturato attorno all’economia. Si direbbe che nel mondo finanziario sacrificare sia normale.
È indispensabile rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione (Laudato si’, 191) e imparare a comprendere e a contemplare la natura. E a riconnetterci con il nostro ambiente reale. La traduzione concreta di questa connessione è – come dice Papa Francesco – vedere il povero.
Siamo oggi di fronte ad una INGIUSTIZIA CLIMATICA, che rileviamo nelle grandi distruzioni (Filippine, Amazzonia, Australia,…solo per citarne alcune) come nella costante e quotidiana aggressione del Creato per interessi speculativi.
Serve allora una nuova società civile che nasce dal basso, da scelte personali e comunitarie che creano “mondi vitali nuovi” che si diffondono per trapianto vitale. Tutte le persone che compongono il corpo sociale vengono messe nelle condizioni di partecipare agli altri i propri doni attraverso il lavoro.
Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha anticipato 30 anni fa quello che è il cuore dell’enciclica Laudato Si di Papa Francesco, quello che oggi è il cuore dell’Economia di condivisione:“Oggi più che mai tutto è intimamente connesso e la salvaguardia dell’ambiente non può essere disgiunta dalla giustizia verso i poveri e dalla soluzione dei problemi strutturali dell’economia mondiale”
Nei suoi 50 anni di vita, la Comunità Papa Giovanni XXIII ha sviluppato forme di condivisione che sono diventati modelli economici e modalità di partecipazione alla vita dei territori in cui la Comunità opera, in Italia ed all’Estero, a partire dalla gestione del denaro come amministratori e l'amministrazione comune, dal contrasto della fame nel mondo, dalle battaglie contro lo spreco, dalla scelta della Pace e dalla presenza di pace nelle zone di conflitto, dall’educazione alla condivisione, dal recupero della dignità della persona nelle realtà di accoglienza e nelle cooperative di lavoro, dalle forme innovative di impresa nelle terre di missione, nei paesi poveri del pianeta, dal contaminare i luoghi della professione, dell’economia, della politica.
Non ci serve granché “condividere” una stanza, un’auto, … dobbiamo chiedere agli Stati nella redistribuzione delle risorse principi di solidarietà e condivisione, uguaglianza, valorizzazione i talenti di ognuno, e soprattutto prestare grande attenzione a sostenere le famiglie, quelle numerose, quelle con figli disabili, con malati di mente, anziani, che decidono di tenerli presso la famiglia.
Anche come consumatori, dobbiamo essere critici ma non a parole o negli ideali, ma nei fatti, perché abbiamo ampi margini di potere d’acquisto, e soprattutto abbiamo la possibilità di vivere la sobrietà, che ci fa vivere la vita da poveri e ci fa anche inquinare di meno l’ambiente. La valutazione di prodotti tenendo conto non solo del prezzo ma anche dell’esistenza di corrette condizioni di lavoro nelle imprese, del grado di tutela assicurato per l’ambiente naturale che lo circonda.
È questo il tempo delle scelte, della responsabilità, della comunità, dell’agire insieme, come popolo. È la scelta della fraternità, della cura delle relazioni, dell’incarnazione delle buone prassi, adottando un’economia spicciola e feriale, di aiuto reciproco, che dà successo nella complessa sfida educativa e nella costruzione della società del gratuito. “Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto”.
La lotta alla povertà nasce nell’opzione preferenziale per i poveri delle nostre comunità. Nessuno ha le mani pulite davanti ai poveri e tutti siamo veramente responsabili di tutti. La nostra presenza in terra di missione vuole vedere i poveri non come un problema, ma come a coloro che possono diventare soggetti e protagonisti di un futuro nuovo e più umano per tutto il mondo. Popoli che hanno tanto da insegnare, con un’esperienza che una ricchezza per tutta l’umanità. Pensiamo ai popoli africani, dell’America latina, dell’Asia, dell’Europa dell’est.
La salvaguardia dell’ambiente perché sia sano e sicuro, richiede un’educazione ambientale rispettoso del riciclo, della raccolta differenziata, dell’identificare nuove fonti energetiche, alternative. L’attuale crisi ambientale colpisce particolarmente i più poveri, sia perché vivono in quelle terre che sono soggette all’erosione e alla desertificazione, o coinvolti in conflitti armati o costretti a migrazioni forzate, sia perché non dispongono dei mezzi economici e tecnologici per proteggersi dalle calamità. Pensiamo a chi vive negli slums, bidonvilles, barrios, favelas.
Il “Patto” a cui ci invita il Santo Padre punta a cambiare l’attuale economia e dare un’anima all’economia di domani, puntando decisamente sulla Condivisione.
Nei confronti pubblici – i “Dialoghi sull’Economia di condivisione” – che la Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ha attivato per dialogare con interlocutori esterni sui capisaldi di una nuova Economia, ha puntato tutto sul superamento del modello attuale che aumenta l’utilità ma diminuisce la felicità.
È un confronto che deve proseguire, anzi rafforzarsi, con una partecipazione attiva ai momenti ed ai processi di formazione della nuova Economia, con una scelta chiara e coerente di fondo, che ogni persona abbia le medesime opportunità.
L’economia di condivisione può essere una risposta per questo momento storico, puntando ad un sistema economico che metta al centro la dignità dell’uomo, di ogni uomo e la cura del pianeta, una vera e propria “rivoluzione della condivisione”, in cui i più fragili sono messi al centro di una comunità, di un popolo, e ne segnano il cammino.
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