Famiglia

L’Economia civile: il quadro di riferimento

Speciale: Lezioni di economia civile. Prima puntata

di Stefano Zamagni e Luigino Bruni

Introduzione

Da scienza triste, come la definiva lo storico Thomas Carlyle, a disciplina affascinante il passo è lungo: l?economia per molti è stata (e continua a essere) materia ostica.
Per due ragioni, innanzitutto: l?astrattezza dei presupposti teorici su cui si fondano certe analisi; la torre d?avorio nella quale vivono di solito gli economisti.
Risultando incapaci, quindi, di cogliere il soffio, a tratti impetuoso, del cambiamento. L?economia civile sfugge a questa trappola. Nasce infatti ?dal basso?, nella società reale e viene teorizzata prevalentemente fuori dalle (non di rado) chiuse stanze dell?accademia.
Abbiamo chiesto al professor Stefano Zamagni, infaticabile pensatore dell?economia civile, e a Luigino Bruni, di raccontarcene la storia, gli snodi essenziali, i suoi protagonisti. Convinti di offrire un utile strumento di riflessione e di cultura e insieme un inedito racconto della realtà economica degli ultimi secoli. Puntata dopo puntata. Buona lettura

Prima Lezione    L?Economia Civile:il quadro di riferimento

L?espressione ?economia civile? è entrata, ormai da qualche tempo, nel circuito mediatico italiano con significati plurimi, spesso confliggenti. C?è chi pensa che si tratti di un sinonimo di economia sociale e chi invece ritiene che l?economia civile altro non sia che un modo diverso di chiamare l?economia privata. D?altro canto, vi sono coloro che la identificano con le organizzazioni non profit e addirittura coloro che vedono l?economia civile come una sorta di ?cavallo di Troia? utilizzato per minare le fondamenta del welfare state. Fraintendimenti del genere, non solamente rallentano il processo di dialogo tra chi è portatore di visioni diverse del mondo non profit; quel che è più grave è che la non conoscenza dei termini in questione, anziché indurre a una saggia umiltà intellettuale, finisce sovente con l?alimentare pregiudizi ideologici e col giustificare chiusure settarie.
Duplice lo scopo che assegniamo a questa serie di interventi che, per una ragione che diverrà ben presto chiara, chiamiamo Lezioni di economia civile. Per un verso, quello di rinverdire una tradizione di pensiero, squisitamente italiana, che affonda le sue radici nell?umanesimo civile del Quattrocento e Cinquecento, una tradizione che è continuata fino al periodo d?oro dell?Illuminismo italiano di scuola sia milanese che napoletana, e la cui cifra principale è una profonda differenziazione rispetto al ben più noto Illuminismo francese. Cercheremo di porre in luce queste differenze. Soprattutto è nostro intento spiegare le ragioni per le quali, a partire dagli inizi dell?Ottocento, l?approccio civile all?economia, a mo? di fiume carsico, abbia iniziato a scomparire dalla scena pubblica e dal dibattito culturale e scientifico. Per l?altro verso, con queste lezioni vorremmo contribuire ad aprire un ampio fronte di riflessione su quella che ha da essere la prospettiva di discorso per il mondo del non profit. Infatti, è ormai diventato chiaro ai più che tale mondo, dopo i brillanti traguardi conseguiti nell?ultimo quarto di secolo, non potrà continuare a registrare progressi se evita di porsi la questione del senso. È noto che la parola ?senso? viene usata in due accezioni: come significato (il senso di una proposizione) e come direzione (il senso di un fiume). Ebbene, a noi preme soprattutto l?accezione dell?orientamento, anche perché quella del significato è ormai sufficientemente chiarita. La domanda di fondo dalla quale ci lasceremo guidare è dunque: dove è diretto, dove sta andando nel nostro Paese, quel mondo vitale che è il Terzo settore?

SFERA ECONOMICA E SFERA SOCIALE
In questa prima lezione, intendiamo disegnare i contorni del quadro politico-economico di riferimento entro il quale collocare il discorso sull?economia civile.
Oggi si stanno confrontando, e in certi casi scontrando, due visioni nel modo di concepire quale debba essere il rapporto tra la sfera economica (che possiamo sinteticamente, e con accezione ampia del termine, chiamare mercato) e la sfera del sociale (o della solidarietà).
Da una parte vi sono coloro che vedono nell?estensione dei mercati e della logica dell?efficienza la soluzione a tutti i mali sociali; dall?altra chi invece vede l?avanzare dei mercati come una ?desertificazione? della società, e quindi li combatte e si protegge da essi. La prima visione, considera l?impresa come un ente ?a-sociale? (dove l? ?a? è privativo): secondo questa concezione, che si rifà ad alcune tradizioni dell?ideologia liberale, il sociale è distinto dalla meccanica del mercato, che si presenta come un?istituzione eticamente e socialmente neutrale. Al mercato è richiesta l?efficienza e quindi la creazione di ricchezza, l?allargamento della torta. La solidarietà, invece, inizia proprio laddove finisce il mercato, fornendo criteri per la suddivisione della torta (nella sfera politica), o intervenendo in quelle pieghe della società non raggiunte dal mercato.

LA VISIONE DI MARX E POLANYI
Agli antipodi di questa visione troviamo l?altro approccio, che vede l?impresa come essenzialmente anti sociale. Questa concezione, che ha tra i suoi teorici autori come K. Marx e K. Polanyi, e come espressione oggi più visibile alcune delle componenti del ?popolo di Seattle?, si caratterizza invece per concepire il mercato come luogo dello sfruttamento e della sopraffazione del debole sul forte (Marx), e la società minacciata dai mercati: «il mercato avanza sulla desertificazione della società» (Polanyi). Da qui il loro appello a ?proteggere la società? dal mercato (e dalle imprese multinazionali, in particolare), con l?argomento che i rapporti veramente umani (come l?amicizia, la fiducia, il dono, la reciprocità non strumentale, l?amore, ecc.), sono erosi dalla logica di mercato. Questa visione, che pure coglie alcune dinamiche dei mercati reali, tende a vedere l?economico e il mercato come di per sé disumanizzanti, come meccanismi distruttori di quel ?capitale sociale? indispensabile per ogni convivenza autenticamente umana oltre che per ogni crescita economica.

LE RADICI DELL’UMANESIMO CIVILE
La visione del rapporto mercato-società tipica dell?economia civile, che, come vedremo nelle prossime lezioni, affonda le sue radici nel pensiero classico e in particolare nell?Umanesimo civile italiano, si colloca invece in una prospettiva radicalmente diversa rispetto alle due visioni oggi dominanti. L?idea centrale e di conseguenza la proposta dell?economia civile è quella di vivere l?esperienza della socialità umana, della reciprocità e della fraternità all?interno di una normale vita economica, né a lato, né prima, né dopo. Essa ci dice che i principi ?altri? dal profitto e dallo scambio strumentale possono trovare posto dentro l?attività economica. In tal modo si supera certamente la prima visione che vede l?economico (i mercati) come luogo eticamente neutrale basato unicamente sul principio dello scambio di equivalenti, poiché è il momento economico stesso che, in base alla presenza o assenza di questi altri principi, diventa civile o in-civile.
Ma si va oltre anche l?altra concezione che vede il dono e la reciprocità appannaggio di altri momenti o sfere della vita civile, una visione questa – ancora oggi radicata in non poche espressioni del Terzo settore – che non è più sostenibile. E ciò per almeno due ragioni:

  1. in mercati globalizzati la logica dei ?due tempi? (prima le imprese producono, e poi lo Stato si occupa del sociale), su cui è fondato il rapporto tra economia e società (si pensi al welfare state), non funziona più, perché è venuto meno l?elemento base di quella visione, e cioè il nesso stretto tra ricchezza e territorio, su cui tutto il sistema sociale era stato pensato in Occidente, e in Europa in modo particolare. Oggi questo meccanismo si è spezzato, sotto l?incedere della globalizzazione dei mercati. All?impresa è chiesto di diventare sociale nella normalità della sua attività economica. In tanti oggi avvertono questa esigenza, e si inizia a parlare di bilancio sociale, di responsabilità sociale dell?impresa: che cosa distingue, allora, l?impresa socialmente responsabile dalle altre che stanno diventando, o debbono diventare, ?sociali?? E? questo uno dei punti che toccheremo nei prossimi appuntamenti.
  2. l?effetto ?spiazzamento?. Se il mercato, e più in generale l?economia, diventa solo scambio strumentale, si entra dentro uno dei paradossi più preoccupanti di oggi. La ?moneta cattiva scaccia la buona?: è una delle più antiche leggi dell?economia (applicata alle monete). È questo un meccanismo che ha un?applicazione più vasta, e agisce, ad esempio, tutte le volte in cui motivazioni intrinseche (come la gratuità) si confrontano con motivazione estrinseche (quali il guadagno monetario): le cattive motivazioni scacciano le buone. Lo scambio basato solo sui prezzi, solo sul contratto strumentale, scaccia altre forme di rapporti umani: se sono pagato per sorridere lo farò meno gratis, e, come possiamo constatare nelle nostre famiglie, se il giovane inizia a ricevere la paghetta per tagliare l?erba, non farà più nulla a casa gratuitamente. Così il mercato – se è solo questo – sviluppandosi mina i presupposti del suo stesso esistere (cioè la fiducia e la propensione a cooperare).

I TRE PRINCIPI DELLO SVILUPPO ARMONICO
E questo perché le nostre società hanno bisogno di tre principi autonomi per potersi sviluppare in modo armonico ed essere quindi capaci di futuro: lo scambio di equivalenti (o contratto), la redistribuzione della ricchezza e il dono, come pratica simbolica che rafforza il senso di appartenenza alla comunità. Le società si sviluppano in modo armonioso se sono attivi, e ben combinati, i tre principi, se si salvano questa struttura ?triadica?.
Cosa succede infatti quando uno dei tre principi viene meno? Se si elimina il dono-reciprocità abbiamo (come idealtipo) il sistema economico del welfare-state del dopoguerra di marca inglese (Beveridge e Keynes). Il centro del sistema è lo Stato benevolente. C?è il mercato che produce con efficienza e lo Stato che ridistribuisce secondo equità quanto il mercato ha prodotto. Se si elimina il principio della ridistribuzione della ricchezza ecco il modello del capitalismo caritatevole. Il mercato è la leva del sistema, e deve essere lasciato libero di agire senza intralci (il cosiddetto neoliberismo). In questo modo il mercato produce ricchezza, e i ?ricchi? fanno ?la carità? ai poveri, ?utilizzando? la società civile (che quindi viene deformata) e le sue organizzazioni (le charities e le Foundations). Infine, l?eliminazione dello scambio di equivalenti produce i collettivismi e comunitarismi di ieri e di oggi, dove si vive volendo fare a meno della logica del contratto (anche a costo di inefficienze e sprechi). La storia finora ci ha insegnato che solo piccole comunità riescono a svilupparsi senza questo principio.

LA GRATUITA IRRINUNCIABILE
La globalizzazione sta estendendo in modo formidabile l?area di applicazione del contratto (tanto che spesso globalizzazione è diventato sinonimo di mercati globali), e, come effetto a volte anche non intenzionale, tende a spiazzare l?area di azione della ridistribuzione e del dono. Un ?villaggio globale? non costruito attorno a tutti e tre questi principi non può sopravvivere.
L?idea di attività economica che nasce da una tale visione che chiamiamo ?civile? è quella di un villaggio ?a più dimensioni?: non solo la società civile si regge sull?armonia dei tre principi, ma la stessa attività economica non può essere regolata dal solo ?scambio di equivalenti?, poiché anche nel fare economia tutti e tre i principi vanno attivati sia pure in forme e proporzioni diverse: il mercato stesso per poter funzionare ha infatti bisogno non solo dello scambio strumentale, ma anche di una certa dose di gratuità, e di forme di ridistribuzione del reddito. Così, a fianco dell?impresa multinazionale di tipo capitalistico troviamo la bottega artigiana, la cooperativa, l?impresa sociale, le imprese dell?economia di comunione, realtà queste che, con il loro stesso esistere, inseriscono dentro il mercato la reciprocità non strumentale, la ridistribuzione, il dono e la comunione. Con il loro operare, esse rivendicano la possibilità di un mercato plurale, visto e vissuto non come luogo della sola efficienza ma anche di pratica della socialità e della cultura del dare.
Inoltre, mentre tutta la teoria e la pratica della globalizzazione sono centrate attorno alle merci, la visione dell?economia civile riporta l?attenzione sui beni (cioè le cose buone), e soprattutto sui beni più fragili, come sono i beni relazionali. Attorno a queste parole chiave e a alla sfida culturale che esse pongono rifletteremo nelle prossime lezioni.

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.