Welfare

L’economia circolare del cibo: il caso Milano

Grazie alla collaborazione con consorzi, imprese, università, il capoluogo lombardo ha sviluppato un modello di riciclo degli scarti della filiera alimentare che permette di differenziare fino a quasi il 60% dei rifiuti. Ma si può fare di più: per rendere il sistema davvero fluido e ancora più efficiente è necessario puntare sull’innovazione, guardando alle start-up

di Riccardo Porro

L’economia circolare del cibo può essere la chiave per risolvere due problemi fondamentali della contemporaneità: da un lato, ridurre il nostro impatto sull’ambiente, dall’altro, contribuire alla lotta contro la malnutrizione. Infatti, stando ai dati della Fondazione Ellen MacArthur, una migliore gestione del food waste (ovvero gli scarti) potrebbe far diminuire le emissioni industriali globali di CO2 del 40%, vale a dire un valore assoluto di 3,7 miliardi di tonnellate, entro il 2050. E ridistribuendo il surplus di produzione del cibo, sempre entro 2050, potremmo sfamare 1 miliardo di persone in più nel mondo. (“Cities and Circular Economy of Food”, Ellen MacArthur Foundation).

Il modo in cui il cibo che mangiamo viene prodotto, commercializzato e consumato, ha un impatto enorme sulla vita del pianeta e su quella dei suoi abitanti. Se si dovesse tradurre economicamente l’impatto della sola produzione del cibo sulla società, a livello globale, in termini di salute e ambiente, si stima che la cifra si aggirerebbe intorno ai 5.7 trilioni di dollari ogni anno! Spostandoci in Italia, Ispra calcola che nel 2018 abbiamo prodotto 14,5 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari o derivanti dal packaging degli alimenti. Numeri monstre che testimoniano quanto il mercato del cibo, in tutte le sue sfaccettature, sia una questione di primaria importanza, i cui risvolti vanno ben oltre le nostre tavole.

Si tratta di un mercato che ha il suo fulcro nelle città. Il tema della catena di produzione e smaltimento del cibo, infatti, è legato a doppio filo agli spazi urbani: entro il 2050, l’80% di tutto il cibo prodotto a livello globale sarà consumato nelle città. Non a caso, le città sembrano essere i luoghi in cui le strategie di economia circolare applicate al cibo possono agire in modo più efficace.

Un esempio emblematico è il caso di Milano: è la più grande città in Europa ad utilizzare il sistema di raccolta porta a porta. Stando sempre ai dati Ispra, in termini di percentuale di raccolta differenziata, il Comune di Milano si colloca al primo posto delle città al di sopra del milione di abitanti con il 58,8% e al secondo posto tra le città sopra ai 200 mila abitanti (la prima è Venezia con 59,5%), leggermente al di sopra della media nazionale (58,1%) e al di sotto della media del Nord Italia (67,7%). In termini di produzione di rifiuti urbani pro capite (502,1 kg/ab/anno), il Comune di Milano è al di sotto dei valori delle altre grandi città (solo Genova e Messina hanno valori più bassi), al di sotto della media del Nord Italia (516,8 kg/ab/anno) e al di sopra della media nazionale (499,8 kg/ab/anno).

Questi dati dimostrano che un modello cittadino di economia circolare del cibo è possibile, e non solo a livello di piccole città. Tuttavia, per realizzarlo, non basta l’azione “dall’alto” dei comuni. Serve creare una rete, coinvolgere più attori, in poche parole: fare sistema.

Circolarità significa fare sistema

La gestione dei rifiuti urbani in Italia ha conosciuto una forte evoluzione a partire dagli anni ’90, quando è iniziato “un processo legislativo europeo e poi nazionale più strutturato che mirava direttamente a proteggere la qualità dell’ambiente, la salute umana e le risorse” – come si legge nel report “Economia circolare del cibo a Milano”, realizzato a settembre dal Comune di Milano con la Fondazione Cariplo e Novamont.

Per fare tutto questo è stato necessario creare una rete di consorzi specificamente dedicati al miglioramento della raccolta, selezione e riciclo dei flussi di rifiuti differenziati. Da qui si è sviluppato un sistema industriale le cui dimensioni economiche sono cresciute negli anni: la gestione dei rifiuti urbani oggi ha dimensioni tecnologiche, quantitative e occupazionali “tali da configurarlo come un vero e proprio ambito industriale. … Una realtà profondamente diversa da quella ben più piccola, scollegata tra i suoi attori e frammentata in piccole entità che è esistita fino a 25 anni fa.”

La stessa città di Milano ha sviluppato la sua Food Policy nel corso degli anni e grazie alla collaborazione di più parti: dal 2014 ha avviato un’agenda sul tema del cibo, insieme alla Fondazione Cariplo, coinvolgendo tutti gli attori interessati, dai cittadini, agli altri Enti pubblici, alle associazioni, alle imprese, alle Università. Oggi, le iniziative strutturali coinvolgono in modo organico i diversi Assessorati dell’Amministrazione, e in questo circuito sono via via state incluse società partecipate, attori sociali e settore privato. Un progetto a cui ha preso parte la stessa Cariplo Factory, con l’iniziativa Food Policy Hot Pot, volta a sviluppare l’innovazione all’interno del sistema alimentare della città. Perché parte integrante, imprescindibile, di questo sistema è la sua continua ottimizzazione grazie all’innovazione dei processi.

Cariplo Factory partecipa anche al progetto Food Trails, partenariato europeo coordinato dal Comune di Milano che include 19 partner di cui undici città oltre Milano (Copenaghen, Varsavia, Birmingham, Bordeaux, Bergamo, Funchal, Groningen, Grenoble, Salonicco e Tirana), tre università (Università di Cardiff, Wageningen e Roskilde) e cinque player del sistema alimentare e di innovazione. Obiettivo di Food Trails è evidenziare, a favore dei policy maker, azioni concrete da poter mettere in campo, co-progettate e verificate, per supportare lo sviluppo e il consolidamento di politiche alimentari utili e praticabili.

Un sistema che funziona è un sistema che innova
La complessità della filiera del riciclo impone il ricorso all’open innovation: perché il riciclo sia un successo è cruciale che gli scarti possano essere riutilizzati anche da realtà che oggi neppure immaginano di poterlo fare.

L’open innovation abilita l’accesso alle idee esterne, in particolare quelle sviluppate da startup innovative. E sono moltissime le startup che oggi possono dare un contributo importante per migliorare la filiera del cibo in Italia e le cui soluzioni possono essere integrate nel sistema dello smaltimento dei rifiuti alimentare delle città. Infatti, per quanto si siano fatti enormi passi avanti, molti degli “ingranaggi” dell’economia circolare possono essere ancora perfezionati. Per esempio: attraverso soluzioni che abilitino il controllo della qualità del cibo, o che ne migliorino la tracciabilità lungo l’intera catena del valore, o ancora che aiutino o migliorano il recupero delle eccedenze alimentari o che abilitano la sostenibilità della catena dei fornitori.

È proprio in quest’ottica che nel 2018 Cariplo Factory ha attivato, insieme a Intesa Sanpaolo Innovation Center, il Circular Economy Lab (CE Lab), primo laboratorio per la circular economy in Italia che collega le imprese con le startup innovative. A proposito di rifiuti: qualche settimana fa, grazie al supporto del CE Lab, il Gruppo Greenthesis, uno dei principali operatori italiani con esperienza globale nei servizi ambientali, ha iniziato un percorso di collaborazione con cinque startup selezionate attraverso un percorso di open innovation: Clariter, Captive Systems, Carborem, Iride Acque, HBI.

La sfida di oggi per domani: ambiente, società ma anche economia
Tornando alla filiera alimentare, oggi, la priorità è ridurre lo spreco, recuperare gli scarti e minimizzare l’impatto ambientale dell’intera industria: specialmente in questo momento che la pandemia ha definitivamente messo a nudo la fragilità del nostro modello di sviluppo economico, rendendo evidente la necessità di ripensarlo in una logica di maggiore attenzione alla sostenibilità. Una risposta che può arrivare proprio dall’economia circolare come modello di produzione, consumo di beni e servizi e – soprattutto – gestione dei relativi scarti, orientato al principio di conservazione del valore socioeconomico dei prodotti.

Abbiamo l’occasione di ripensare l’intero ecosistema produttivo, rivalutando l’economia circolare e la bioeconomia, nella sua natura fortemente connessa al territorio e per la sua capacità di creare filiere multidisciplinari integrate nelle aree locali. Caratteristiche che la rendono uno dei pilastri del Green New Deal, il programma lanciato dall’Unione Europea per raggiungere la neutralità delle emissioni inquinanti entro il 2050 (i primi dati resi di noti da Bruxelles hanno stimato una disponibilità di fondi per l’Italia di oltre 360 milioni di euro). Da questo punto di vista la strada è ancora lunga. Solo nel 2018, in Italia, sono state immesse al consumo 2.292.000 tonnellate di imballaggi in plastica: come se ogni abitante ne consumasse 38,2 kg all’anno (tanto per avere un’idea: il consumo annuo di pasta è di 23 kg!). A preoccupare, però, è l’incremento rispetto al 1995, quando i kg di plastica pro-capite erano 33.


*Riccardo Porro, Chief Operations Officer di Cariplo Factory

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