Cultura

Le vignette condannano i prodotti danesi

Per rispondere alle vignette satiriche su Maometto, i Paesi arabi lanciano una campagna di boicottaggio ai prodotti danesi

di Joshua Massarenti

La Danimarca sta pagando a carissimo prezzo le dodici caricature del profeta musulmano pubblicate da un giornale danese. Tra le prime decisioni adottate da quei regimi musulmani scioccati dai disegni,
una “fatwa economica” lanciata contro tutti i prodotti danesi esportati nei Paesi musulmani. Gruppi laici di opposizione, associazioni religiose, imam e personalità influenti quale il leader spirituale dei Fratelli musulmani in Egitto, la parola d’ordine è una sola: “non importate e non comprate danese”. Il messaggio, veicolato tramite internet e sms in tutto il Medioriente (ma non solo), rischia di avere serie ripercussioni per la Danimarca.

Basta guardare cosa sta succendendo in Libia. Il 30 gennaio scorso, il Consiglio degli uomini d’affari libici ha deciso di sospendere l’importazione di prodotti danesi nel loro Paese. Nel Kuwait, l’influentissimo Mohammed al-Mutairi, presidente della piùimportante rete di prodotti venduti al dettaglio, la Unione of Cooperative Societies, ha annunciato che almeno una cinquantina appartenenti alla rete hanno smesso di importare prodotti rpovenienti dalla Danimarca.

Il governo danese stima che per il 2005 le esportazioni destinate ai 57 Paesi che compongono l’Organizzazione della conferenza islamica (Oci) ammontano a oltre 1,9 miliari di euro. In un rapporto reso pubblico il 31 gennaio scorso, la banca danese Jyske Bank sostiene che se la campagna di boicottaggio dovesse prolungarsi per tutto il 2006, le perdite secche registrate dalla Danimarca si stimerebbero in 11 200 impieghi soppressi e 1 miliardo di euro mandati in fumo.

Tra le società più colpite dalla campagna di boicottaggio ci sono il gruppo farmaceutico Novi Nordisk, il fabbricante di pompe Grundfos e il re dei giocattoli Lego. Per quanto riguarda i settori più esposti alla crisi, a risultare nei guai sono i prodotti alimentari e i medicinali, i quali rappresentano rispettivamente il 30% e il 10% delle esportazioni danesi verso il Medioriente.

Il caso più eclatante riguarda Arla Foods, una multinazionale specializzata nella produzione caseare (latte, burro e yogurt). Presente da oltre 40 anni nei Paesi mediorientali, la Arla Foods ha deciso di lanciare un controffensiva pubblicando una settimana fa sulla stampa araba una pubblicità redatta dall’ambasciatore danese di Ryad (Arabia Saudita). Ma nulla da fare. “Le nostre vendite nei Paesi arabi sono totalmente ferme. Ogni giorno perdiamo 1,34 milioni di euro” fa sapere sconsolato un adetto stampa della società danese, che minaccia: “Se continua così, già da questa settimana saremo costretti a licenziare 125 persone e mettere altri 40 lavoratori in cassa integrazione”.

Arla Foods rapprtesenta da sola un terzo delle esportazioni danesi nei Paesi arabi. Da qui al 2010, la multinazionale intendeva raddoppiare la sua produzione in Arabia Saudita, il mercato di gran lunga più importante nel Medioriente. Ma il suo managing director Peder Tuborgh ha già fatto sapere che “sarà molto difficile per Arla ritrovare la nostra forza in questa area del mondo. Ci vorranno anni per ricucire rapporti con i nostri partner”.

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