Non profit
Le tv se ne sono andate, noi siamo ancora qui
«Siamo come le olive: diamo il meglio di noi una volta spremuti», scrive un volontario dell'Anpas impegnato nel campo di Villa Sant'Angelo
di Redazione

Avete sentito?”, dice Sara della Croce Blu di Mirandola.
“Si”, rispondo io.
“Era …?” fa lei.
“Eh si: era”.
Sembra una comunicazione in codice. E forse lo è. Sono le 22.20 e abbiamo sentito l’ennesima scossa. E’ curioso vedere ci sia intesa anche tra persone che non si erano mai conosciute prima, ma che con una parola ci si riesca a dire che “c’è stato il terremoto” senza nominarlo.
Poco prima di quest’ultima scossa avevamo incastrato un caschetto giallo tra i pali che sostengono la nostra tenda: con un po’ di immaginazione è il nostro sismografo. Se cade vuol dire che c’è stato il terremoto. Il caschetto non è caduto, ma forse è perché lo avevamo incastrato bene. E forse perché questa tenda, quella della segreteria ANPAS Emilia Romagna del campo di Villa Sant’Angelo, è stata costruita bene. Questo campo è stato gestito proprio bene. In questo momento siamo nella “fase 2”: non siamo più in emergenza e faremo sopratutto i servizi sociali. In particolare stiamo gestendo gli aiuti che vengono da tutta Italia: dai vestiti ai pannolini, dalle scarpe ai giochi per i bambini. Da qui fa piacere sapere che anche nella nostra Pubblica Assistenza, la Croce Blu di San Prospero, stiamo riuscendo a raccogliere tantissimo materiale. Ci dicono che la gente arrivi in sede con tre “sporte” di cose nuove: immediatamente lo diciamo alla gente della tendopoli e li vediamo più fiduciosi, e più speranzosi che non verranno dimenticati. Hanno troppa paura che tra un mese l’Italia si dimenticherà di loro.
E’ tardi e siamo tutti un po’ stanchi. Ciò nonostante, tutto il campo continua ad essere in fermento: si continua a lavorare come lo si fa da lunedì scorso quando sono arrivati i primi volontari. Tutti (noi volontari delle Pubbliche Assistenze, gli alpini, gli psicologi) continuiamo a lavorare. Solo le telecamere e i giornalisti sono andati via. Tutte le televisioni, anche quelle estere, sono venute, sono entrate nelle tende, hanno fatto domande e riprese. Tanto che molti di noi hanno pensato: “Sembra di stare in un Grande Fratello”. Ma stavolta è tutto tremendamente vero. Questa volta non ci sarà un vincitore sul quale caleranno i coriandoli dall’alto di uno studio televisivo. A questa gente dall’alto sono arrivati i muri delle loro stesse case. Non ci sono voci stridule e urli di conduttori o soubrette.
In questo, come negli altri campi, c’è il rumore continuo dei mezzi che spianano il terreno più e più volte anche a quest’ora. C’è il rumore degli altoparlanti e delle nostre ricetrasmittenti che sono sempre in funzione. C’è il rumore dei nostri passi sulla ghiaia bianca. Il rumore di chi martella centinaia di picchetti per piantare altre tende blu. C’è il rumore della pioggia che picchietta sulla nostra tenda. Il rumore che fa Andrea, un alpino, per togliersi divisa e scarponi quando rientra nella nostra tenda, la 126.
Poi c’è il silenzio. Quello assordante di Villa Sant’Angelo che ha tutte le luci accese, ma nessuno che lo abita. Il silenzio degli anziani di questa tendopoli che, nonostante abbiano perso tutto, hanno una dignità tale che li porta a mettersi da una parte quando gli viene da piangere. Ci sono gli abbracci e gli sguardi muti dei parenti delle vittime che continuano a venire al campo. C’è la voce bassa di una signora del campo che, durante una pausa, ci passa davanti con un vaso di fiori in mano e dice: “Buona pasqua a tutti… per quanto possa essere..”.
E’ tempo di provare a prendere sonno. Ripenso ai rumori e ai silenzi, agli altri volontari che tentano di prendere sonno in tenda e alla gente che trascorrerà un’altra notte in questo campo e mi viene in mente un aforisma: “Siamo come le olive: diamo il meglio di noi una volta spremuti”.
A. C. – volontario A.N.P.AS.
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