Famiglia

Le tre ministre per il nuovo Ahmadinejad

Perché il presidente discusso si è deciso alla scelta a sorpresa

di Redazione

Il presidente cerca di recuperare quella parte di elettorato che ha
dato grandi segni di sfiducia.
Le donne nominate sono tutte candidate a ministeri chiave.
Ma i religiosi lo lasceranno fare?
Preso nella stretta morsa delle accuse di frode elettorale, delle manifestazioni di protesta e della progressiva delegittimazione che sta attraversando il governo islamico nato trent’anni fa da una rivoluzione popolare, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha con cautela presentato (in ritardo) la lista con i nomi dei candidati proposti per i vari ministeri del nuovo governo.
In questa lista, l’assoluta novità sta nella nomina di tre donne per tre ministeri importantissimi: Sousan Keshavraz per il ministero dell’Istruzione, Marzieh Vahid-Dastjerdi per il ministero della Sanità, e infine Fatemeh Ajorlou per quello della Sicurezza sociale. Si tratta di donne già deputate del parlamento precedente che ora si potrebbero trovare, una volta votata la fiducia da parte dei giureconsulti (gli esperti di legge all’interno del parlamento), a capo di settori chiave della politica iraniana. I giureconsulti voteranno a favore o contro i candidati in base alla loro conformità con gli ideali islamici e della rivoluzione khomeinista.
Se la fragilità e il conflitto interno all’élite al potere si sono mostrati al mondo intero proprio sotto le elezioni presidenziali del 12 giugno scorso, ora il presidente cerca di recuperare quella grande fetta della società iraniana che è andata chiedendosi, in queste settimane, «dov’è il mio voto?». Se infatti il conflitto in Iran si gioca sull’opposizione tra classi sociali, tra religiosi e laici e persino tra generazioni diverse, uno dei terreni più fertili dello scontro è oggi più che mai quello della questione femminile.
Ecco dunque che una delle primissime manovre del presidente, quella di proporre tre donne-ministro, va letta come una sorta di promessa per un cambiamento della società iraniana mosso dall’alto, una manovra alla ricerca della legittimità perduta, e un avvicinamento alle idee del riformista sconfitto, Mir Hossein Mussavi, che aveva fatto della questione femminile il punto cruciale della sua campagna elettorale.
I candidati di questa lista aspettano il voto definitivo del 30 agosto, ma le polemiche suscitate dalla scelta del presidente hanno già fatto il giro del mondo: Mohammad Taghi Rahbar, capo della fazione religiosa del parlamento, ha dichiarato a Rajanews che ci sarebbero «dubbi religiosi sulla capacità delle donne di comandare», pensiero espresso anche da altre figure di spicco tra i religiosi.
Le critiche non sono arrivate solo dalla fetta più tradizionalista e conservatrice del Paese, ma dalle stesse donne attiviste, capeggiate dal premio Nobel, Shirin Ebadi. Secondo loro le donne proposte sarebbero inadeguate in quanto totalmente devote al presidente e prive dunque dello spirito di opposizione e senso critico necessario a cambiare dall’interno il sistema.
Comunque la si voglia leggere, quella di includere le donne nel gabinetto dei ministri è una scelta diretta verso un ri-adattamento della rivoluzione islamica al presente, che sembra ormai un processo irreversibile nell’Iran di oggi.


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