Non profit

Le tende non scaldano i clochard

Malgrado i posti disponibili e le temperature glaciali quasi mai vengono utilizzate. Ecco perché

di Redazione

A 600 chilometri di distanza le tende sono sempre le stesse: colore blu acceso, logo bianco della Protezione civile. Dal sisma dell’Aquila alla gelida piazza della Stazione Centrale. Ma se in Abruzzo le tendopoli erano affollate e vissute, a Milano le cose vanno molto diversamente, malgrado i morti di questi giorni. «Dei 35 posti letto disponibili ad oggi, quasi mai si registra il tutto esaurito», spiega Leonardo Cerri, direttore dei Servizi di Protezione civile del Comune di Milano. Che aggiunge: «L’attività che abbiamo messo in piedi, per il quarto anno consecutivo, lascia il tempo che trova. Il clochard, quello vero, vuole stare in strada, sempre e comunque». «È una soluzione che i senzatetto accolgono con riluttanza», conferma Mario Furlan, presidente dei City Angels.
La tendopoli milanese è in piccola scala: una tenda per gli operatori, due per i clochard – riscaldate e attrezzate con coperte, sacchi a pelo, generi di conforto (sempredisponibili caffè e the caldi) e assistenza medica che presto diventeranno tre, con l’ultima destinata esclusivamente alle donne e che perterà i posti disponibili a 50. Poco distante, il (provvisorio) generatore a gasolio necessario per assicurare l’energia elettrica, in attesa di un allacciamento “ad hoc” da parte di A2A, la principale azienda per l’energia elettrica operante in città. Bollette e fatture del servizio “pro senzatetto”, che rimarrà aperto almeno sino a fine febbraio, hanno come destinatario l’assessorato ai Servizi Sociali del Comune.
Ma come si spiega l’indifferenza dei senza tetto? Secondo Paolo Pezzana, presidente della Fiopsd – Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, «molti clochard non vogliono ricevere assistenza, ad esempio gli immigrati irregolari, circa il 70% dei senzatetto: temono di essere riconosciuti e segnalati alle autorità, anche se noi non chiediamo documenti». Ci sono poi quelli che non vogliono cambiare “ritmo” di vita. «Una volta quando ero per strada a Genova incontrai un ragazzo che mi disse: “Paolone”, il mio nome di strada, «una volta che mi sono abituato al caldo di una tenda per mesi come farò a tornare in strada? Anche se la temperatura sarà più calda, per me farà più freddo di prima”. E non è tutto, nonostante il disagio infatti chi vive in strada trova una sua routine e un suo equilibrio. Il problema è che i Comuni si fermano all’emergenza “freddo”, senza usare questa leva per avviare percorsi d’inclusione e riabilitazione. Un errore madornale»
Il format quindi non funziona, è evidente anche a livello nazionale. Fino all’anno scorso le tende venivano montate anche a Verona, Bologna, Roma e Bari. Oggi no. «Nella capitale, ad esempio, hanno cambiato strategia. Si limitano all’assistenza e al monitoraggio delle strade», spiega il milanese Cerri.

Vuoi accedere all'archivio di VITA?

Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.