Formazione

Le stragi del ‘93 nel percorso multimediale del “No Mafia Memorial”

È un susseguirsi di suoni, colori, immagini ad accompagnare colui che decide di visitare la mostra su quanto accadde nel ’93 nel nostro Paese, a opera di Cosa Nostra. Un'installazione che colpisce al cuore, ma è anche un vero e proprio pugno allo stomaco per la sua potenza visiva, frutto del lavoro di analisi e ricostruzione storica portato avanti dal centro di documentazione siciliano dedicato a Peppino Impastato

di Gilda Sciortino

Il pomeriggio se ne va/il tramonto si avvicina/un momento stupendo/Il sole sta andando via (a letto)/È già sera tutto è finito”.

Può senza dubbio cominciare dalla fine questa storia, da questa poesia che Nadia Nencioni scrisse qualche giorno prima che la bomba, scoppiata il 27 maggio del 1993 in via dei Georgofili, a Firenze, la facesse entrare nell’elenco delle cinque vittime di una strage per cui Matteo Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo. Qualunque vittima di qualunque strage non si può accettare, ancor di più in questo caso visto che Nadia aveva 9 anni e, insieme a lei e ai suoi genitori, rimarrà uccisa Caterina, la sorellina di appena cinquanta giorni, passata alla storia come la più giovane vittima di mafia. Quasi un presagio, questa poesia, di una vita che di lì a poco si sarebbe spezzata, dal momento che s’ intitola “Tramonto”, nome in codice poi dato all’operazione Messina Denaro.

Un anno drammatico per il nostro Paese, il 1993, tanto quanto il ’92, ricordato per le stragi di Capaci e via D’Amelio. Il 14 maggio, in via Fauro a Roma, nei pressi del Teatro Parioli, era scoppiata la bomba che aveva come obiettivo il giornalista Maurizio Costanzo, rimasto fortunatamente illeso. Poco più di due mesi dopo, il 27 luglio, a Milano, un altro ordigno danneggerà la Galleria di Arte Moderna e ucciderà cinque persone. Sempre nella Capitale, nei giorni a venire, deflagheranno altre due bombe davanti alla Basilica di San Giovanni in Laterano e alla Chiesa di San Giorgio al Velabro.

Quanto è accaduto in quel tragico 1993 è congelato nel tempo dalle pagine e pagine che hanno riempito la stampa di allora, ma anche del filmati televisivi che costrinsero i giornalisti a diventare portatori di messaggi funesti, ripetendo il dolore di un annuncio che avevano già vissuto e fatto vivere un anno prima con l’uccisione del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, il 23 maggio a Capaci, e quella del giudice Paolo Borsellino insieme ai suoi cinque angeli custodi Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli, il 19 luglio in via D’Amelio.

Uomini e donne a cui la mafia ha donato l’eternità, scrivendo pagine di storia colorate di rosso, purtroppo congelate nella memoria di tutti. Memoria che qualcuno ha voluto e saputo conservare consegnandola a posteri molto vicini come noi, ma che andrebbe considerata patrimonio dell’umanità, tanta la sua importanza. Un percorso di memoria attiva come quello costituito da “Le stragi del ‘93”, mostra multimediale immersiva pensata e allestita a Palazzo Gulì, nel cuore del centro storico di Palermo, dove ha sede il “No mafia memorial”, memoriale-laboratorio della lotta alla mafia che prende vita nel 2017 quando il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, e il presidente del Centro di documentazione “Giuseppe Impastato”, Umberto Santino, firmano il protocollo d’intesa che avvia la realizzazione di questo tempio della memoria con l’obiettivo di stimolare le nuove generazioni all’approfondimento della conoscenza del fenomeno mafioso, alla comprensione di quegli eventi e alla rivisitazione della memoria delle vittime.

Un luogo, il “No mafia memorial”, nel quale prosegue naturalmente l’attività del Centro siciliano di documentazione, avviata nel 1977 con il convegno “Portella della Ginestra: una strage per il centrismo” e formalizzata nel 1980 con la costituzione come associazione culturale intitolata a Giuseppe Impastato, nato in una famiglia mafiosa e protagonista delle lotte antimafia, assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978.

Non casuale, ma profondamente comprensibile l’esigenza di commemorare le stragi del ’93 contemporaneamente nella stessa mostra, in quanto parte di un’unica strategia criminale di Cosa Nostra per la destabilizzazione del nostro Paese.

Un percorso multimediale, quello proposto, che si apre con l’immagine dell’attentato di Capaci del 1992, in quanto da quell’evento emblematico, assieme alla strage di via D’Amelio, l’organizzazione criminale avvierà la sua strategia stragista, portando fuori dalla Sicilia un attacco alle istituzioni democratiche, per colpire il patrimonio artistico del Paese, provocando numerose vittime innocenti.

Quattro installazioni che compongono la mostra dove ogni oggetto, ogni immagine, ogni suono hanno un significato preciso, un richiamo drammatico ed emozionante, ma sempre rigoroso, alle tragiche vicende di quegli anni. Un viaggio nel dolore, nella sofferenza di un Paese funestato da quanto accaduto che si riesce a sentire, a vivere, grazie alla capacità di narrazione del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato".

«Il percorso delinea il contesto con mutamenti epocali – spiega il presidente, Umberto Santino – come l’implosione dell’Unione Sovietica e la caduta del muro di Berlino, che hanno posto fine all’equilibrio mondiale bipolare; l’archiviazione in Italia dei partiti storici, il vuoto che sarà malamente riempito da nuovi soggetti. I mafiosi con le stragi del ’92 colpiscono i personaggi che considerano “traditori”, perché non hanno fatto niente per annullare le condanne del maxiprocesso (Salvo Lima e l’esattore Ignazio Salvo) e i nemici storici: Falcone e Borsellino, anche con intento preventivo, temendo le loro attività future. Con quelle del ’93 hanno come bersaglio lo Stato e la Chiesa, colpendo i monumenti, le opere d’arte, i grandi simboli storici e identitari. Un vero e proprio terrorismo eversivo che fa temere un colpo di Stato. Il fine di rafforzare il loro peso contrattuale nella cosiddetta “trattativa”, avviata da personaggi istituzionali (a cui rispondono con il famoso papello, inteso a cancellare la legislazione antimafia, a partire dal carcere duro) si coniuga con la volontà di inserirsi nella transizione a livello politico, prima recuperando la tradizione separatista, poi schierandosi con il probabile vincitore: Forza Italia, il partito di Berlusconi e Dell’Utri che conquisterà il potere alle elezioni politiche del ’94».

Un quotidiano e incessante impegno di documentazione che ha sempre avuto in prima linea Umberto Santino, sociologo e storico, e Anna Puglisi, figura significativa della società civile palermitana, dedita da sempre alla lotta contro le illegalità e alla valorizzazione delle donne.

Quanto i più giovani, ma anche più adulti, sono pronti a capire e accettare l'eredità che realtà come la vostra vogliono consegnare loro?

« Facciamo del nostro meglio – aggiunge Santino – tenendo conto che viviamo in un periodo molto difficile a tutti i livelli, a cominciare da quello culturale e politico. Al memoriale, per esempio, abbiamo tantissimi visitatori e moltissime scolaresche. Ci rivolgiamo soprattutto al mondo delle scuole, in continuazione con il lavoro che il Centro Impastato svolge a partire dagli anni ’80».

Nella mostra largo spazio hanno le vittime, l’impegno della magistratura e dei familiari, tra cui Giovanna Maggiani Chelli, la madre di Francesca, la ragazza di Dario Capolicchio, lo studente bruciato vivo dalle fiamme suscitate dall’esplosione nella strage di Firenze: è lei la fondatrice dell’Associazione dei familiari delle vittime e si batterà fino all’ultimo per avere piena giustizia. Un lavoro prezioso, quello condotto in questo ultimo mezzo secolo dal centro dedicato a Peppino Impastato.

Se oggi dovesse rivolgersi a un giovane e spiegargli cos'è stata e cos'è ancora oggi la mafia da cosa partirebbe e che percorso consiglierebbe di fare?

«La mafia è la droga che uccide, la violenza che calpesta la nostra vita quotidiana, il pizzo sulla nostra libertà. Felicia, la madre di Peppino Impastato, ai giovani che le chiedevano cosa potevano fare, diceva: “studiate”, per capire cos’è la mafia e attrezzarsi per combatterla e creare alternative».

L'antimafia di Peppino Impastato cosa avrebbe da insegnare a chi oggi dice di essere impegnato sul fronte della lotta alla mafia?

«Peppino coniugava la radicalità con la concretezza, la politica con le attività culturali, la pace con l’ecologia, la denuncia e il carnevale alternativo, la satira e la poesia. Le sue lotte erano dentro un impegno collettivo. L’analisi andava a braccetto con una progettualità legata al territorio, ai problemi concreti, dalla speculazione edilizia ai rapporti dei mafiosi con le istituzioni, la disoccupazione giovanile, la condizione femminile. Un’attività a 360 gradi, fatta con i mezzi di cui poteva disporre: il ciclostile, la radio, la musica, il teatro. Questa complessità è attualissima ed è l’identità di Peppino, che va oltre la rappresentazione mediatica, che l’ha fatto diventare un’icona vincente ma ne ha stemperato la storia».

Un percorso tinto di rosso, ma anche dei colori che richiamano alla speranza sulla possibilità di fare luce sui tanti misteri di un Paese che chiede giustizia per le tante vittime che deve continuamente ricordare e celebrare.

«Chi entra lo fa con alcune aspettative, uscendi consapevole che è accaduto molto più di quel che si pensi e si dica – afferma in conclusione Ario Mendolia, direttore del Memorial, ma anche ideatore e allestitore della mostra -. Ti immergi veramente nelle installazioni multimediali che ti prendono per mano e ti conducono lungo un percorso di consapevolezza. La conclusione è ancora più commovente grazie alla poesia della piccola Nadia Nencioni, interpretata con grande maestria da una bambina. La mostra sarà permanente, ma la integreremo con alcuni seminari. Uno è quello in programma il 16 giugno quando delle “Stragi del ‘93”, insieme a Umberto Santino, parleranno il procuratore aggiunto della Procura di Firenze, Luca Tescaroli, che sta indagando su quei tragici accadimenti, la sociologa Alessandra Dino, il presidente del Tribunale di Palermo, Piergiorgio Morosini, e il giornalista Attilio Bolzoni. Un'ulteriore occasione per capire sempre di più, non abbassando mai la guardia».

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