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Le storie dei moderni sans papiers che per ricominciare sono tornati a casa

Il Ritorno Volontario Assistito e Reintegrazione è un programma che poche organizzazioni, tra cui la ong Gruppo Umana Solidarietà “Guido Puletti”, stanno sviluppando con il progetto Back to the Future 2. Il concetto alla base è tanto semplice quanto impegnativo: offrire un vero percorso per un nuovo inizio nel paese di origine che si sviluppa attraverso una fase progettuale partecipata che pone la persona al centro delle proprie scelte e che ne valorizza le vocazioni, le conoscenze e le attitudini

di Massimo Vita

La storia dell’uomo è segnata dalle migrazioni, da persone che mosse dalla ricerca di una vita migliore, da drammi umani e bellici, da tragedie naturali, s’incamminano verso una vita altra. Ognuno di loro ha un nome, una storia e racchiude dentro di sé un mondo di emozioni, di aspettative e di timori. Si sceglie di partire o si è costretti a partire per le motivazioni più disparate; ogni storia, seppur simile, è differente dalle altre, ma spesso si finisce per sperimentare vissuti che coincidono in maniera ineluttabile. Gli ultimi anni d’emergenza umanitaria si sono scontrati con la Fortress Europe: da una parte le speranze dall’altra la paura, da una parte il desiderio dall’altra l’oblio, da una parte lo sguardo fisso, dall’altro il volgere lo sguardo altrove.

E se qualcuno ce la fa, se qualcuno riesce a vivere prima e raccontare poi una storia di successo, di integrazione, di coesione sociale, molti, i più, purtroppo, sperimentano storie ai limiti del dramma – quando il dramma non si consuma davvero – storie sans papiers che raccontano di sfruttamenti, di condizioni ai limiti dell’umanità, storie di invisibili. Storie che si fa fatica a raccontare a casa. Quella casa distante migliaia di chilometri, quella casa lasciata talvolta troppo in fretta, senza una vera consapevolezza di cosa ci si possa aspettare dall’altro lato: dall’altro lato del mare, dall’altro lato del confine, dall’altro lato della strada, dall’altro lato del mondo.

Si fa fatica a raccontare la propria storia di privazioni in quello che doveva essere il posto giusto, il continente giusto, ci si vergogna a raccontare che le cose non sono andate come ci si sarebbe aspettati. C’è una sensazione di tradimento del mandato sociale e, a volte, si perdono le speranze e ci si concede a un destino che poco a poco rischia di consumarti.

E allora perché non guardare di nuovo dall’altro lato? Questa volta verso le origini, verso la propria cultura, verso il luogo che si è lasciato. Ci vorrebbe la stessa forza che ha permesso di intraprendere un viaggio verso l’ignoto, pieno di speranze, ma i cui rischi si sono rivelati di gran lunga superiori alle opportunità. Ci vorrebbe una nuova consapevolezza, acquisita in quella terra straniera che avrebbe dovuto accoglierti e che, invece, ti ha relegato ai margini. Ci vorrebbe un destino diverso, reinventato, capace di renderti ancora protagonista della tua vita.

“Un paese ci vuole” – scriveva Cesare Pavese ne La luna e i falò, in quello che sarebbe divenuto il suo ultimo romanzo – «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”». Pavese raccontava di un uomo che ritornava; ed è nel concetto stesso del ritorno che si può raccontare un destino diverso, in quell’andare di nuovo.

E se non si è fuggiti da una guerra, se non si è fuggiti da una persecuzione, se non si è fuggiti da un disastro ambientale, se non si è fuggiti da una realtà che non aveva più nulla da offrire, allora perché non pensare al ritorno? L’Europa, e con essa tutti i suoi Stati, ha messo al centro della politica migratoria i rimpatri prima e i ritorni poi. Se si cambia prospettiva, i secondi, quei programmi che mettono al centro la persona, la dignità e l’idea di un nuovo futuro, possono realmente offrire una seconda chance. La migrazione la si percepisce come un percorso unidirezionale, ma non è sempre così, si può decidere di intraprendere il percorso inverso per ricominciare una nuova vita.

Il Ritorno Volontario Assistito e Reintegrazione è un programma che poche organizzazioni, tra cui l'ong GUS – Gruppo Umana Solidarietà “Guido Puletti” – , stanno sviluppando da qualche tempo a questa parte con Back to the Future 2. Il concetto alla base è tanto semplice quanto impegnativo; impegnativo perché la vocazione di questi interventi non è nel mero viaggio di ritorno, ma nella prospettiva di offrire un vero percorso per un nuovo inizio nel paese di origine. Non ci può essere ritorno senza una scelta volontaria da parte della persona, senza il desiderio di costruire una nuova fase della propria vita; il percorso si sviluppa attraverso una fase progettuale partecipata che pone la persona al centro delle proprie scelte e che ne valorizza le vocazioni, le conoscenze e le attitudini.

Ascoltare e comprendere i vissuti e le fragilità, i silenzi tra le parole, di chi è rimasto sospeso in una realtà molto più feroce di quanto potesse apparire, fa venire alla luce tutti i limiti di un sistema che troppo spesso denigra i sogni, le ambizioni e l’amor proprio di chi si è trovato a bussare alla nostra porta e non riesce a creare le condizioni favorevoli per una vita dignitosa.

E se essere padroni di sé stessi, una delle forme più alte di libertà, è un riscatto insperato per tanti, anzi troppi protagonisti delle migrazioni odierne, il ritorno, quando è scelto, ha una valenza ancor più significativa: contribuire allo sviluppo del proprio Paese sottraendolo al giogo di vecchi e nuovi colonizzatori nel tempo dell’economia globale.


*Massimo Vita coordinatore del progetto per GUS

Nella foto di copertina Iqbal Yasir – Ha fatto ritorno in Pakistan dove ha riabbracciato la famiglia. Fa il conducente di autobus.

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