Cultura

Le Sardine, Lucio Dalla e il pensiero che non c’è

di Lorenzo Maria Alvaro


Le Sardine nel week end sono sbarcate a Milano. Trentamila, si legge, in piazza del Duomo sotto la pioggia. Non avevo pensato di scriverne fino a quando non ho scoperto che questo movimento “politico ma apartitico” ha come inno una canzone di Lucio Dalla: “Com’è profondo il mare”.

«È chiaro, che il pensiero dà fastidio, Anche se chi pensa è muto come un pesce, Anzi è un pesce, E come pesce è difficile da bloccare, Perché lo protegge il mare… Certo, chi comanda, Non è disposto a fare distinzioni poetiche. Il pensiero come l'oceano, Non lo puoi bloccare, Non lo puoi recintare». Così si conclude quella canzone.

Ora che sia stato scelto questo pezzo come inno delle Sardine non può che fare piacere. Ma viene un dubbio atroce: a sentire i rappresentanti del movimento in televisione il cuore delle loro manifestazioni è, per usare le loro parole «una coscienza anti-populista e anti-sovranista e per questo siamo il principale nemico di tutta la strategia politica e del discorso politico di Salvini».

Cosa manca? Il pensiero. Non pervenuto. Non c’è nulla, in queste adunate, che rimandi a un’idea, anche pallida, su cosa fare. Non dico un agenda che metta in fila delle priorità. Non dico di parlare di Ilva, Alitalia, Famiglia, Ponte Morandi e compagnia cantante. Ma almeno qualcosa di più di: Salvini brutto e cattivo. Viene un dubbio dicevo. E il dubbio è che sia stata scelta questa canzone perché il movimento si chiama Sardine, e le sardine stanno nel mare. Ed è un dubbio sconfortante.

Un vilipendio ad un brano straordinario. Perché non si tratta di una canzone qualunque dell’autore bolognese. Era il 1977 quando Dalla pubblicò il suo settimo album. Era un album che segnava però una grande novità: fu il primo in cui scrisse da solo tutti i testi, dopo la rottura col poeta Roberto Roversi che lo aveva accompagnato nella stesura dei tre precedenti "Il giorno aveva cinque teste", "Anidride solforosa" e "Automobili". Un album che affondava le radici nelle storie quotidiane, raccontando l'Italia attraverso una serie di racconti, bozzetti, che sono rimasti ben presenti nella mente di chiunque ami la musica: nell'album sono presenti brani come "Il piccolo Alfredo", "Corso Buenos Aires" e "Disperato erotico stomp".

L'incipit di quell’album era proprio “Com’è profondo il mare” che dava anche il nome al disco. Canzone diventata culto, con un testo ricco e complesso che propone un percorso storico incentrato sui deboli e sulla lotta di classe.

Nelle prime tre strofe Dalla inquadra prima il soggetto “Siamo gatti neri, Siamo pessimisti, Siamo i cattivi pensieri, E non abbiamo da mangiare”, fa cenni autobiografici a sottintendere quanto gli sia caro questo tema e poi delinea il disagio di cui parla “È inutile, non c'è più lavoro, non c'è più decoro”.

Insomma povertà, esclusione, disoccupazione, fame. Si parla dell’Italia debole e senza futuro. Si parla di un’epoca in cui l’Italia è colpita dal terrorismo, dalla lotta di classe. Un’Italia molto diversa da quella di oggi ma che indubbiamente vive problematiche molto simili. Da lì Dalla accompagna l’ascoltatore in un percorso storico che lo fa passare dalla Rivoluzione Russa del 1917, alla Seconda Guerra Mondiale e ai campi di concentramento per arrivare alla bomba atomica. Un percorso a tappe per poi arrivare al climax finale sul pensiero di cui sopra. Di tutto questo, cioè di un'analisi accurata e sentita della società e dei problemi in quelle piazze non c'è traccia. Basterebbe pensare che le piazze si riempiono per dire no a un politico e a un partito che, per quanto discutibili, sono all'opposizione. Il corto circuito più incedibile per altro è che sui media per parlare di questi assembramenti fini a sé stessi si toglie spazio per i problemi veri.

Proporrei per questo alle Sardine , se ne avessi l'opportunità, di cambiare inno. Sarebbe più adeguato “Mare Mare” di Luca Carboni che, per inciso, è anche protagonista del video di “Com’è profondo il mare” pubblicato nel 2017, in occasione del quarantennale del pezzo.

Così, per non prendersi troppo sul serio.

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