Diritti e salute

Le Rsa del Terzo settore: la gratuità delle rette è improponibile

Per il presidente di Uneba Lombardia Luca Degani bisogna «ragionare sulla sostenibilità del sistema sanitario». Per fare i conti con una società che invecchia, gli strumenti ci sono: «La sanità integrativa e le coperture assicurative, da integrare con il sistema sanitario»

di Nicla Panciera

Nel dibattito in corso relativo alle coperture delle spese per gli anziani e i malati residenti nelle Rsa, all’emendamento che distingue la quota di spesa sanitaria da quella socio-assistenziale e che solleva da quest’ultima il fondo sanitario nazionale, c’è chi invita «ad alzare lo sguardo per ragionare sulla sostenibilità del sistema sanitario». È più realista del re Luca Degani, presidente dell’Unione nazionale enti di beneficenza e assistenza Uneba Lombardia, in disaccordo con chi, anche nel suo mondo, preferirebbe avere un unico pagatore e che quindi l’intera spesa fosse in capo allo Stato. Certo, all’interno di Uneba, che rappresenta centinaia di strutture del terzo settore per anziani fragili in tutta Italia, ci sono posizioni diverse sulla questione ma sono tutte concordi nel dire che l’importante è fare chiarezza.

«Sono contrario alla gratuità assoluta in caso di malattia o non autosufficienza» ci dice Degani, che spiega: «Ipotizzare che, in una popolazione demograficamente anziana, la presa in carico dell’ultima fase della vita sia totalmente a carico del sistema sanitario nazionale significherebbe impegnare fino a un terzo delle risorse. Una soluzione improponibile». Che finirebbe per privare la popolazione di quella presa in carico fatta di prevenzione e di cure che l’ha portata a simili livelli di longevità. Anche senza guardare alle preoccupanti proiezioni, ma basandosi sulla situazione attuale: «Trent’anni fa, la popolazione italiana nelle strutture aveva in media 75 anni, oggi l’età media è di 85 anni, persone spesso con condizioni cliniche complesse e comunque di multi-patologia. I 300 mila posti nelle Rsa oggi non bastano, perché secondo le stime ad averne bisogno sarebbero il 7% degli over 75, quindi sulle 500mila persone, considerando l’attuale sistema di presa in carico integrata. I conti sono presto fatti». Inoltre, «quella di un sistema sanitario che abbia l’obbligo della presa in carico è una lettura forzata del diritto alla salute senza limiti di spesa».

L’attuale situazione che prevede la presa in carico per un 50% da parte del sistema sanitario e il restante 50% da parte della famiglia o, se in difficoltà, dal Comune che può farsi carico della quota di compartecipazione per coloro che rientrano in un determinato livello di reddito, «credo sia la più equilibrata e con un approccio solidaristico su tutte le fasi di età» riflette Degani. È questa la linea seguita anche dalle Regioni e Province Autonome che chiedono una riformulazione dell’emendamento in tal senso. Infatti, in un documento, dove dichiarano «la necessità di introdurre una disposizione legislativa che chiarisca la ripartizione degli oneri tra il Servizio sanitario nazionale (SSN) e gli utenti nei servizi residenziali sociosanitari in particolare di lungoassistenza», si propone questa riformulazione: «Sono a carico del fondo sanitario nazionale esclusivamente gli oneri delle attività di rilievo sanitario anche se inscindibilmente connesse con quelle socio-assistenziali, ferme restando le disposizioni contenute nei provvedimenti relativi ai livelli essenziali di assistenza (LEA) che definiscono la ripartizione degli oneri per livelli di intensità e di compartecipazione alla spesa, previa valutazione multidimensionale e presa in carico da effettuarsi secondo le modalità definite dalle Regioni e Province Autonome».

Che fare dunque? «Adottare una visione della presa in carico che parta dall’attuale situazione demografica: non è più sufficiente un sistema basato sulla fiscalità e sul sistema sanitario nazionale» dice Degani. «Prendiamo atto che esistono degli strumenti, come la sanità integrativa e le coperture assicurative, oggi concentrate su alcune prestazioni come l’ortodonzia o per velocizzare l’esecuzione di esami già proposti dai Lea, ma che dovrebbero venir integrati la sanità pubblica, per garantirne la sostenibilità».

La foto in apertura è di Fondazione Sacra Famiglia

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