Sostenibilità

Le rotte della tutela

A volte un’area protetta non basta. È il caso delle pelagie, dove, se non si istituirà un santuario, la biodiversità potrebbe diventare un ricordo

di Chiara Sirna

«Le balene di Lampedusa meritano un santuario». Silvestro Greco su questo non ha dubbi. L?area marina delle isole Pelagie la studia da vent?anni. È stato proprio lui, da ricercatore al Cnr prima e dirigente di ricerca all?Icram – Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare poi, a ?censirla? metro per metro. «È una delle aree più ricche del Mediterraneo dal punto di vista della biodiversità», racconta, «ci sono balene, grandi banchi di tonni, numerosi squali, incluso quello bianco, colonie di tartarughe». Eppure la sola zona tutelata è quella tra Lampedusa e Linosa, diventata Area marina protetta delle isole Pelagie grazie a un decreto ministeriale dell?ottobre 2002. Il resto è abbandonato a se stesso. «O si istituisce un santuario con tutte le tutele previste, oppure da qui a dieci anni non resterà niente». Le Pelagie e tutta l?area circostante sono le più esposte ?alla pesca selvaggia? dei paesi che pure affacciano su quella parte di Mediterraneo, Tunisia e Libia in primis, ma anche ?al traffico di petroliere?. «Siamo in ritardo di 30 anni». Greco non usa mezzi termini contro l?indifferenza dello Stato. «La ricerca scientifica l?abbiamo finanziata con pochi soldi come Icram. Le cifre fanno ridere», incalza. «Sa che per l?ultimo progetto, che ha portato alla scoperta delle balene, abbiamo usato 10mila euro? Si rende conto? Sul fronte santuario invece è tutto fermo. Non se ne occupa nessuno, se non qualche associazione ambientalista». Ecomondo: Perché l?area delle Pelagie è così importante e da conservare? Silvestro Greco: Perché la sua biodiversità non ha eguali. Non ci sono solo balene e squali, ma anche altre specie marine perché l?indice ambientale è di buona qualità. Però è una zona ad alto passaggio di petroliere. E come se non bastasse Tunisia e Libia praticano sistematicamente una pesca selvaggia, con le famose micidiali reti spadare, per prendere il pesce spada. Fanno danni inestimabili. Solo cinque paesi tra quelli che affacciano sul Mediterraneo sono comunitari. Italia, Francia, Spagna, Grecia e Malta. Gli altri sono senza regole. Ecomondo: Nel 2002 è stata istituita l?Area protetta delle isole Pelagie. Perché non è sufficiente? Greco: Quelli sono solo due ettari, l?area complessiva da tutelare è di migliaia di ettari: va da Lampedusa alle coste tunisine, prosegue verso Malta e fino alla Libia. Ecomondo: Il WWF ha lanciato una campagna per la creazione del santuario delle Pelagie. A che punto siamo? Greco: A zero. I dati della ricerca scientifica, grazie agli sforzi fatti e nonostante nessuno si sia impegnato per finanziarla, ci sono. L?attenzione del WWF anche, ma nessuno raccoglie l?appello. Ecomondo: L?Icram come si muoverà da questo punto di vista? Greco: Non possiamo fare più di tanto. Quello che ci compete è la ricerca. È ovvio che sosterremo la campagna del WWF, ma ci vuole una volontà politica. Ecomondo: Quali sono i passi da fare? Greco: Intanto un primo passo formale da parte del ministero degli Esteri per istituire un tavolo di lavoro con Malta e Tunisia sotto l?egida delle Nazioni Unite, coinvolgendo direttamente il Rac/Spa di Tunisi, centro regionale sulle aree protette e la tutela della biodiversità dell?Unep/Map (United Nations Environmental Program/Mediterranean Action Plan). L?unica via da seguire è la collaborazione internazionale, così come è stato fatto per il Santuario dei cetacei nel Mar Ligure. Dopodiché bisogna procedere con la creazione di un comitato scientifico ad hoc e del santuario stesso. Ecomondo: Quali vantaggi porterebbe il santuario? Greco: Verrebbe regolamentato il traffico navale, in particolare quello turistico, e si attiverebbe un presidio contro eventuali minacce d?inquinamento o attività illegali. Ecomondo: È uno stato particolare di abbandono quello delle Pelagie o si può generalizzare a tutte le aree marine protette? Greco: La situazione generale è uno schifo. Veniamo da cinque anni di cattiva gestione del territorio. Bisogna capire chi deve fare che cosa. L?Area marina protetta delle Pelagie, per esempio, è gestita dal Comune: ad ogni cambio di amministrazione si riparte da zero. Le commissioni tecniche non vengono mai convocate, alla fine diventano centri locali di potere clientelare. Sfido chiunque a trovare in Italia un?area marina che funzioni. Basta pensare a Ustica. A furia di commissariamenti non si sa nemmeno più se esiste. Ed è la più prestigiosa, è stata la prima ad essere istituita. Gli investimenti sulla ricerca marina in Italia sono pari allo 0,01% del Pil. Di questo passo non andiamo da nessuna parte.


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