Forse non tutti conoscono il milanese Ugo Finzi , l’unico alto funzionario di Banca Mondiale che , nei primi ’80 , si scontrò con i Chicago boys di reaganiana memoria prevedendo, con largo anticipo, che se la loro logica – libero mercato e privatizzazioni subito , no a gestioni graduali della transizione – avesse vinto nell’ex URSS, gran parte di quell’economia sarebbe finita sotto il controllo di pochi amici del nuovo potere e della mafia russa , così come grave sarebbe stato l’impatto sulle condizioni di vita della maggioranza della popolazione.
Finzi è l’uomo che , in Banca Mondiale , molto contribuì a redigerne i manuali sulle liberalizzazioni , secondo una logica semplicissima : quando si governano beni comuni fondamentali (quali le risorse idriche , energetiche , ambientali) , c’è un interesse generale da tutelare attraverso un’Authority ed un gestore della leva tariffaria che rappresenti quell’interesse , come una holding al 100% pubblica. Verificate tali precondizioni , nulla vietava , secondo Finzi , che tutto ciò che è gestione operativa di Servizi Pubblici Locali potesse essere ‘divisionalizzato’ , in vista della eventuale , successiva , trasformazione delle divisioni in S.p.A. con capitale , in quel contesto istituzionale , anche per il 100% di proprietà privata.
Nell’Inghilterra della Thatcher quei servizi pubblici erano stati frettolosamente privatizzati , invece , volutamente ritardando di anni la nascita delle Autorithies (Offgas, Offwat): ciò consentì ai privati ‘neo’monopolisti di far crescere del 5-600% le tariffe in tempi brevi , con il ‘Financial Times’ che titolava “L’imbarazzo dei ricchi” , cioè di quel 10% dei sudditi del Regno Unito cui andò più del 70% dei profitti da privatizzazioni , mentre l’occupazione nei settori privatizzati calava del 50% ed il restante 90% di Inglesi scontava impoverimento e sempre peggiori servizi .
Chi , come me , nel ’95 conobbe la neoprivatizzata Severn Trent a Birmingham , potè constatare quegli effetti nei Front Offices e Call Centers, i cui operatori erano controllati in continuo affinchè non concedessero più di 12 secondi a contatto nel gestire richieste di rateizzazione delle bollette da parte di migliaia di consumatori. La cosa più preoccupante per chi abbia a cuore l’interesse pubblico ed i beni comuni è , quindi , la deregolazione , oggi dominante a partire dalla globalizzazione in atto. Renato Ruggiero , da Direttore Generale WTO , prima di Seattle, si pose l’obiettivo di frenare tale tendenza , cercando di inserire nell’aggiornamento dei trattati commerciali internazionali una “clausola sociale” (e, dietro alla “clausola sociale”, una “clausola ambientale”) che consentisse reale , per quanto progressiva , parità di condizioni competitive per la libera circolazione di merci e persone in un mercato non regolato solo dal dogma ‘cost cutting’ , tra i cui frutti di quegli anni una delegazione OCSE scopriva , nei villaggi dell’Indonesia , migliaia di ‘blind virgins’, ragazzine che erano state impiegate per saldare le basi hardware per l’industria elettronica in condizioni tali che i gas di saldatura le portavano in pochi anni a cecità. Queste nozioni ed esperienze sono note alla parte meno incolta del ceto politico nazionale , così come la percezione che prevalenti modalità di privatizzazione senza seria liberalizzazione non fan diminuire di un Euro la spesa dell’utente finale. Perché allora , chiedo loro , avete dato la stura , con i provvedimenti contraddittori in materia (da diversi lustri ondivaghi a partire da quelli del Sottosegretario Vigneri , al Ministero degli Interni retto da Napolitano) , alla sbornia della ”finanziarizzazione” che tanti danni e debiti ha generato a carico delle ex-Municipalizzate-‘multiutilities’ , contribuendo al declino competitivo dei territori da esse serviti ?
Perché non avete studiato la rotta dell’Unione Europea, tra l’Inghilterra post-thatcheriana con Blair costretto ad investire grandi risorse pubbliche nel recupero di qualità dei servizi e la Francia che , con Governi di destra e di sinistra, non metteva mai in discussione il monopolista pubblico EDF come proprio asset strategico ? Anche per managers di aziende pubbliche l’obiettivo è creare valore per gli azionisti: perché allora non tenere a mente il modello tedesco , ad esempio di quella RWE nata da 34 Comuni della Renania-Westfalia prima del nazismo cui sopravvisse, fino a divenire , nel dopoguerra, società per azioni , riservandone ai 34 Comuni il 30% con “golden share”e garantendo così radicamento dell’impresa nel proprio territorio , pur figurando tra le maggiori multinazionali energetico-ambientali a scala globale . Certo, la politica va allontanata dalla gestione dei servizi, che facilmente, nelle sue mani, diventa corruttiva e clientelare : cruciale è allora il rispetto delle regole e dei ruoli,per cui la proprietà indica gli obiettivi , nomina un Consiglio di Amministrazione remunerato in modo etico , cui compete di elaborare strategie per conseguire tali obiettivi , scegliendo i dirigenti incaricati di tradurre le strategie in interventi, senza accettare, o addirittura promuovere, confusione nei rapporti tra i livelli ed i ruoli come sopra descritti , confusione che sarebbe premessa di catastrofi gestionali e di risultati operativi fallimentari.
E allora , perché siamo al disastro attuale ?
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