Welfare

Le ragioni del mio sì al braccialetto che porta lavoro

carcere Parla Giuliano Pisapia, esperto di "sinistra"

di Redazione

Ben venga il braccialetto elettronico. Il disco verde al pacchetto Alfano-Ionta arriva, a sorpresa, da Giuliano Pisapia. L’avvocato milanese, ex parlamentare indipendente di Rifondazione comunista e uno tra i massimi esperti italiani di politica penitenziaria, questa volta non ha difficoltà a smarcarsi dall’ordinaria diffidenza con cui gran parte della sinistra ha accolto la proposta del Guardasigilli del governo Berlusconi. Una posizione, quella di Pisapia, tanto fuori dagli schemi, quanto motivata. In sintesi, questo il suo pensiero: a certe condizioni l’applicazione del braccialetto può aprire un varco per facilitare l’accesso al lavoro dei detenuti, ed è un’opportunità da non lasciarsi scappare.
Vita: Alfano merita quindi un bravo senza se e senza ma?
Giuliano Pisapia: L’idea del braccialetto mi convince. A condizione, però, che sia concepita come una misura urgente finalizzata a creare i presupposti per una svolta nel campo del diritto penale che apra a pene diverse da quelle carcerarie.
Vita: La prima sperimentazione del 2000/2001 però è sostanzialmente fallita. Cosa è cambiato da allora?
Pisapia: Bisogna evitare gli errori del passato. Mi aspetto, in particolare, che alcune falle tecnologiche vengano superate. Il braccialetto, ad esempio, spesso si rompeva quando il detenuto faceva la doccia e si sconnetteva nelle aree in cui non prendeva il telefonino. Poi occorre che sia uno strumento non visibile e che sia applicato con il consenso del detenuto, cosa che temo non sia prevista dal progetto Alfano-Ionta. La finalità, mi auguro che il ministro lo abbia ben presente, deve essere quella di aumentare il numero dei detenuti che possano usufruire dell’esecuzione della pena in modo che venga loro facilitato l’ingresso nel mondo del lavoro. È questa la vera chiave di volta.
Vita: Quanti detenuti accetterebbero una misura del genere?
Pisapia: Il 99% delle persone che incontro quando vado in carcere si dice disposta a vestire il braccialetto pur di uscire dalle celle. Tenga presente poi che in Francia per legge l’ultimo periodo di pena, che può variare da sei mesi a un anno, viene scontato automaticamente all’esterno con il braccialetto. E in Inghilterra oggi ci sono 19mila detenuti in questa condizione.
Vita: Lei prima ha accennato al lavoro. Cosa c’entra il braccialetto elettronico con l’occupazione dei detenuti?
Pisapia: C’entra eccome: è il nocciolo della questione. Se i magistrati di sorveglianza avessero a disposizione questo strumento – chiunque conosca le dinamiche del mondo penitenziario lo sa – sarebbero molto più disponibili a concedere le misure alternative e quindi ad avvicinare il carcerato al lavoro esterno.
Vita: Perché?
Pisapia: Così come stanno le cose per quale ragione un magistrato che avesse un piccolo dubbio, e i casi di questo genere sono tantissimi, dovrebbere concedere il via libera alle misure alternative sapendo che se poi il detenuto combina qualche guaio le responsabilità cadranno inevitabilmente ed esclusivamente su di lui? Il braccialetto, in questo senso, svolgerebbe una decisiva funzione di garanzia. E lo stesso meccanismo scatterebbe anche nei confronti dei direttori, ai quali spetta la concessione dell’ammissione al lavoro esterno (il cosidetto articolo 21). Tanto più che proprio i direttori sono quelli che meglio conoscono il territorio e hanno contatti con le aziende. Il braccialetto non è la panacea di tutti i mali del rapporto fra carcere e società. Questo va detto. È però un piccolo passo in avanti nella giusta direzione. Che, fra l’altro, renderebbe più vivibile il carcere anche a chi sarebbe escluso dall’accesso al braccialetto. Per quelli che resterebbero dentro, infatti, si moltiplicherebbero le chance di accedere, per lo meno, al lavoro alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Alfano però deve stare attento.
Vita: A cosa?
Pisapia: Finché si continuerà a concepire il carcere come l’unica pena possibile, come in tema di immigrazione clandestina e recentemente sul versante della prostituzione, non ci sarà alcun braccialetto che potrà evitare il collasso del sistema.
Vita: È anche vero però che nemmeno la sinistra parlamentare sembra aver compreso che per abbattere la recidiva l’unica strada realmente percorribile è quella di dare un lavoro a chi sta scontando una pena?
Pisapia: Dal mio punto di vista lo scontro dovrebbe essere non fra chi vuole e chi non vuole il braccialetto, ma fra chi lo vede come uno strumento per rendere efficiente il sistema carcere e chi lo concepisce invece solo come una misura di controllo. Ciò detto non nascondo che ancora oggi a sinistra permangono, almeno sottotraccia, resistenze ideologiche per le quali se un detenuto lavora toglie il posto a chi il lavoro non ce l’ha. E questo è sconfortante.

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