Ieri mattina, dopo tantiiiiissimo tempo, sono andata a fare colazione al bar. Un posto molto carino, gestito da tre ragazze che si chiamano Francesca, Cristina e Stefania. Due di loro sono gemelle, ma sono tutte e tre legate da un filo sottile e indissolubile, che va oltre l’essere sorelle: sono mamme. Mamme di frugoletti profumati e patatosi, che puoi riempire di baci, di coccole e di paroline dolci.
Quando ci vediamo il discorso spesso cade sui figli e sulla cucina. E – come dire? – visto che sulla seconda questione non sono proprio una fuoriclasse, spesso viriamo sulla prima. E anche qui non è che io sia una fuoriclasse, eh. Ma davanti a loro sono probabilmente l’esperta. Esperta mica per competenze, eh. Esperta semplicemente perché sono più vecchia e soprattutto perché sono diventata madre prima di loro, e questo fa sì che mio figlio sia più grande dei loro pargoli. Insomma, io ho un figlio adolescente e loro no.
Ieri, mentre mi lamentavo non mi ricordo nemmeno bene per cosa ma sicuramente per un buon motivo, le “ragazze” (noi le chiamiamo così) mi hanno rivolto uno sguardo che al tempo stesso conteneva pietà, terrore, speranza, curiosità e un mix di “oh, magari ho una botta di fortuna pazzesca e a me non capita”. Lo sguardo accompagnava LA domanda per eccellenza: ma quindi l’adolescenza è davvero “così”?
Non mi fossi ricordata del distanziamento sociale che dobbiamo mantenere, mi sarei alzata e sarei corsa ad abbracciarle, per dirle che no, l’adolescenza non esiste. Che sono io che ho le allucinazioni perché mi ostino a prepararmi tisane con i funghi allucinogeni che raccolgo ogni mattina quando esco a passeggio con i miei cani. Che gli alieni mi hanno rapito e mi hanno creato delle nuove sinapsi neuronali che fanno sì che io abbia una distorsione di tutti i cinque sensi e della pazienza. Insomma, io volevo dire loro che no, l’adolescenza non è così terribile come si mormora. Volevo indorare la pillola e regalare loro ancora qualche anno di speranza e di pia illusione.
Ma poi, in un picosecondo, è comparsa davanti a me l’immagine di una delle tate che si occupava di mio figlio quando l’adolescente del mio cuore non andava al liceo ma al nido: tata Lalla. Ecco, tata Lalla, in tempi non sospetti, mi aveva detto parole che sono rimaste incise nella mia memoria: “Secondo me la maternità non dovrebbero darla quando hai i figli piccoli. Ce la dovrebbero dare quando sono adolescenti”. Non avevo dato peso alla saggia tata Lalla in arte Cassandra. O meglio, le avevo dato retta, ma dentro di me, in un angolino nascosto, avevo cullato la possibilità che per me sarebbe stato diverso. Che mio figlio sarebbe stato un adolescente diverso da tutti gli altri. Che non avrebbe mai risvegliato in me quegli istinti animaleschi che non credevo di avere, capaci di farmi urlare arrivando a superare la barriera del suono.
E così, illuminata dalla profezia di tata Lalla, alle ragazze ho detto la vera verità: cioè che l’adolescenza esiste ed è dura assai, per noi grandi e per i nostri figli. Ma ce la si può fare, forse. E che pure per loro, per “le ragazze del bar” arriverà il momento in cui le principesse e i principi che ora le chiamano mammina e che le accolgono a casa con “mi sei mancata tantissimo!”, la saluteranno mescolando in combinazioni diverse “arg”, “sgrunt”, “chepppalle”, “tranqui”, “nonmipressare”.
Ma ce la farete anche voi, ragazze. E continuerete a regalare un sorriso a tutti i vostri avventori, come sempre. Soprattutto a quelle mamme che bevono cappuccino d'orzo, perché lottano con il mostro dell’adolescenza ma soffrono di fibrillazione atriale. Magari metteteci pure un po' di grappa, nella mia tazza. Oh, magari mi dà una mano.
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