Welfare
Le quasi-piattaforme del welfare digitale
Se le piattaforme di mercato traggono parte dei loro ricavi dalla vendita dei dati, nelle quasi-piattaforme i dati sono valorizzati come beni comuni, utili all’individuazione di nuovi rischi sociali e nuovi bisogni di servizi
Le piattaforme digitali sono ovunque: se cerco un alloggio posso andare su Airbnb, per un passaggio in auto su Blablacar, per avere del cibo a domicilio posso usare Deliveroo. Che cosa succede se invece ho bisogno di una badante? All’estero si stanno diffondendo piattaforme anche per i servizi di welfare. Un esempio è Care.com, fondata nel 2006 è attiva in 20 Paesi e o re un servizio di incontro tra domanda e offerta in quattro aree di assistenza: l’infanzia, la rete famigliare e amicale, gli animali e la casa. Nel 2018 è stato utilizzato da 17,7 milioni di famiglie e 13,1 milioni di caregivers.
La piattaforma adotta logiche di puro mercato, spesso coerenti con il modello di welfare dei Paesi in cui è attiva. Può essere un modello di riferimento anche per l’Italia?
Abbiamo analizzato cinque piattaforme di welfare promosse attraverso i bandi Welfare in azione di Fondazione Cariplo in Lombardia e la risposta è no. La digitalizzazione potrebbe favorire processi di trasformazione dei servizi di welfare tradizionale, ma il riferimento non può essere la piattaforma di mercato. Abbiamo individuato un modello ideale che abbiamo definito “quasi-piattaforma”: termine che non rimanda a una loro incompiutezza, ma al fatto che presentano caratteristiche peculiari, dal momento che operano in quasi-mercati.
Una quasi-piattaforma è parte di organizzazioni e di reti ampie, che travalicano i confni organizzativi chiusi delle piattaforme ma anche la governance di tipo verticale dei sistemi di welfare locale. Le quasi-piattaforme sono parte di processi di trasformazione organizzativa, generalmente non nascono come startup. Nelle quasi-piattaforme le economie di scala (scaling wide) sono sostituite da logiche di radicamento (scaling deep): gli investimenti iniziali sono di valore piuttosto limitato e sono sostenuti prevalentemente da investimenti filantropici, non è necessario ricorrere a capitale di rischio.
Se le piattaforme di mercato traggono parte dei loro ricavi dalla vendita dei dati, nelle quasi-piattaforme i dati sono valorizzati come beni comuni, utili all’individuazione di nuovi rischi sociali e nuovi bisogni di servizi. Il sistema di accreditamento degli operatori e la protezione della privacy degli utenti portano verso modelli più chiusi e anonimi. Anche l’incontro tra domanda e o erta e la divisione del lavoro non sono lasciate alla negoziazione diretta tra le parti, ma interviene una forma di mediazione da parte delle organizzazioni che veicolano il servizio. Una specificità delle quasi-piattaforme è l’investimento in formazione per avvicinare e far interagire le parti, con l’obiettivo di coltivare una comunità di utenti ibrida online/offline.
La quasi-piattaforma non agisce solo come elemento “riformatore” del sistema di welfare classico, ma cerca di intercettare bisogni e risorse che per ragioni diverse sfuggono all’assetto attuale, pur mantenendo una specificità rispetto alle logiche di mercato adottate dalle piattaforme più affermate. Questo inedito modello non è ancora stabile ma è già sottoposto a tensioni legate alle strategie di crescita. Da una parte, gli utenti finali stanno diventando sempre più “consumatori consapevoli” orientati a costruirsi un welfare su misura. D’altro canto i finanziatori del welfare, la pubblica amministrazione in primis, sono sempre più pressati a dilatare l’offerta pur a fronte di risorse stabili o decrescenti e quindi cercano di generare un e etto leva tra i loro apporti e quelli dei beneficiari, chiamati sempre più a cofinanzare l’erogazione.
E i fornitori, in particolare del Terzo settore e dell’impresa sociale? Per loro sembra maturo il tempo di un nuovo cambiamento organizzativo basato essenzialmente sul ridisegno della propria offerta per sfruttare le potenzialità di questa nuova interfaccia del welfare. Una trasformazione che chiama in causa la progettazione, ma anche la governance: meglio annidarsi in piattaforme esistenti (come nel caso del welfare aziendale) oppure crearne di alternative che siano “a propria immagine e somiglianza”?
*Ivana Pais è sociologa e docente dell'Università Cattolica di Milano
**Flaviano Zandonai è ricercatore presso Euricse
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