Può il dono essere totalmente gratuito? Non c’è sempre almeno una componente di gratificazione che ci spinge a far del bene nei confronti di qualcuno?
Ecco cosa penso: i feedback sono sempre presenti seppur possano sembrare trascurabili. Si dona sempre per qualcosa, fosse anche il bisogno di sentirsi utili e trarne soddisfazione. Pensare che il dono sia fine a sé stesso è concettualmente errato seppur comprensibile. Non c’è nulla di sbagliato nel provare un sentimento che ci restituisce benessere.
Fermo restando questo principio, a mio modo di vedere immutabile,
l’approccio al dono sta ineluttabilmente cambiando perché a cambiare sono le persone e i contesti sociali nei quali queste sono immerse.
La mia riflessione nasce contestualizzata al nostro specifico mercato perché la propensione al dono, così come i comportamenti del resto, sono legati alle dinamiche all’interno delle quali sono inserite e da queste vengono condizionate. In questo ambiente così complesso, i social network sono lo specchio da cui trarre facilmente indicazione.
Nulla, a mio modo di vedere, è più come a febbraio 2020 ma in molti sembrano essersi fermati lì, a prima del Covid e ai cambiamenti sociali e alle fratture che certi percorsi hanno causato, e ciò impatterà ineluttabilmente sul dono e sulle scelte da parte dei donatori.
Non vedere il cambiamento e far finta di nulla non solo è ingenuo, ma pure sciocco.
Se ci rifacciamo a ciò che Abrahm Maslow riferiva nel rappresentare i bisogni umani sulla sua piramide, ci risulta difficile, alla luce degli ultimi due anni e mezzo, non notare che vi sia stata (e sia tuttora in corso, a mio modo di vedere) una turbolenza ai diversi piani e minate alcune certezze o, meglio, status quo. I bisogni di sicurezza, appartenenti ai bisogni primari che credevamo al sicuro, semplicemente sono tornati ad acquisire un ruolo prioritario nelle scelte di ciascuno e ciò va tenuto in debito conto nel pensare alle nostre attività.
Dopo 70 anni, assistiamo dunque a un abbassamento di status e a una carenza di ottimismo a cui non eravamo abituati; probabilmente la rottura di un patto sociale non scritto che ci rassicurava e che ci dava equilibrio.
Siamo immersi in una sorta di limbo, sospesi tra un prima e un dopo. Parlarne è tabù se non, in alcuni casi neppure così isolati, motivo di conflitto. Una sensazione che spero si smarchi presto e assuma una dimensione che non può che essere nuova.
I primi segnali arrivano, inutile nasconderlo. Diventa necessario decostruire e ricostruire, ripartendo dalle proprie anime organizzative perché no, signori,
non è più possibile proporsi oggi come ieri. Le persone pretendono di più e non hanno più né la voglia, né la pazienza, né le risorse per accettare tutto.
Attendo con una certa impazienza il prossimo autunno e, in particolare, il 2023 per leggere i report sul dono su cui IID e Vita Non Profit, tra gli altri, si concentrano annualmente. Allora capiremo meglio e tireremo le somme, seppur ancora parziali, dei danni subiti, provocati o, per tempo, prudenzialmente affrontati.
(post originale pubblicato su Nonprofit Blog il 3 aprile 2022)
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