Cultura

Le passioni di Maometto

Dialogo controcorrente con lo scrittore musulmano Kader Abdolah

di Marco Dotti

Le belle donne, i viaggi e i sogni. Ecco le cose che piacevano al Profeta. «Un uomo fatto di sangue e di carne, come
tutti noi», spiega l’autore del «Messaggero» «Non si può capire il Corano, se non si capisce Maometto». Ne è convinto Zayd, figlio adottivo e cronista del Profeta, protagonista e voce narrante dell’ultimo romanzo dell’iraniano, di lingua nederlandese, Kader Abdolah. Un libro che in Olanda, Paese d’adozione di Abdolah, è già un caso politico oltre che letterario: il Maometto restituito alla storia dall’autore di Il Messaggero (traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo, pp. 300, euro 17), da poco proposto anche in Italia per le edizioni Iperborea, è infatti descritto come un sognatore che ama le belle donne, un analfabeta dotato di inesauribile curiosità, capace di far convivere un profondo senso religioso con la mondanità più sfrenata.
Un uomo capace, soprattutto, di gettare ponti tra religioni, storie, culture, preoccupato di far uscire il suo popolo da un’arretratezza che ha assunto connotati di barbarie non solo materiale. Intervenuto al Festivaletteratura di Mantova il 10 settembre scorso, in giorni particolarmente concitati per il dibattitto interculturale (all’ordine del giorno erano la lapidazione di Sakineh e la polemica sul burqa), Kader Abdolah ha rimarcato come non si possa comprendere né giudicare l’Islam – e quindi comprendere a fondo anche la storia europea – senza conoscere la vita controversa del Profeta, il suo Libro e, soprattutto, il contesto che li ha visti nascere.

Vita: Chi era Maometto? Voltaire, in una sua dissacrante pièce teatrale del 1736 (Le Fanatisme ou Mahomet), lo descriveva come un fanatico guerrafondaio, un analfabeta dedito a trucchetti illusionistici. Lei gli si è accostato con rispetto e ne Il Messaggero ci consegna un Profeta prossimo alla modernità, capace di intuire l’immenso potere rigeneratore della parola. Come si spiega questo tipo di approccio?
Kader Abdolah: Benché per le storie e gli avvenimenti raccontati ne Il Messaggero mi sia basato su fatti storici, il libro va letto secondo le leggi della letteratura. Fino a quando mi trovavo in Iran, la mia conoscenza del Profeta era superficiale; ne avevo sentito parlare, conoscevo la sua storia dalle fonti popolari, fonti che non sempre sono ingenue e attendibili. Circa un miliardo di persone, al mondo, ha una conoscenza del genere, relativamente alla storia di Maometto: conoscenza superficiale, basata sul passaparola, quando non su luoghi comuni. Quando però ho iniziato a leggere il Corano e, poco dopo, ho deciso di tradurlo, ho scoperto che dietro il mantello, Maometto era una persona fatta di carne e sangue come noi, un sognatore, un viaggiatore, un padre-padrone, un dittatore, un uomo che amava le ragazze, un uomo che, come tutti, alla fine, è morto. Ma la sua grandezza va commisurata al fatto che in lui si rispecchiava quanto di più umano ci sia dato conoscere: la contraddizione. In lui ho visto me stesso. Ho visto tutti noi.
Vita: Lei ha recentemente pubblicato una sua versione del Corano. Che cosa l’ha spinta a tradurlo?
Abdolah: Ho sempre pensato che il Corano fosse il libro di mio padre, un libro di precetti, un libro pericoloso. Anche per questa ragione, quando abitavo in Iran non l’ho mai letto. Poi, una volta giunto in Italia, ho iniziato a sentirmi dire «Kader, hai mai letto il tuo libro?» e io sempre, a mia volta, domandavo: «Quale libro?». La risposta era ogni volta la stessa: «Ma il tuo libro, il Corano, leggilo!». Così ho deciso di leggerlo, e poi ancora e poi ancora. Non per me stesso, forse, ma per gli olandesi e per gli europei che mi chiedevano di condurli per mano nei giardini del Corano. E quindi ho scritto un “polder Corano”, aperto alla storia e alle sue contaminazioni. Se oggi si usa politicamente il Corano come un libro di regole e precetti per creare uno Stato, allora avrai l’Afghanistan o l’Iran degli ayatollah. Ma il Corano è anche un bellissimo libro antico, un capolavoro letterario, un libro di poesia, un testo sacro che unisce la migliore poesia della Bibbia e quella della Torah. Per questo l’ho tradotto e per questo ho scritto Il Messaggero, per mostrare questo bellissimo libro agli europei, agli olandesi, a voi italiani. Ho voluto raccontare il bello della mia cultura e della mia religione. Il Corano è un libro che va letto senza pensare ai precetti, magari con in mano un bicchiere di buonissimo vino rosso, lasciandosi trasportare.
Vita: Lei è stato costretto a lasciare l’Iran, suo Paese natale. Che cosa vede nel futuro di Teheran e dei suoi concittadini?
Abdolah: Condanno con tutte le mie forze il regime degli ayatollah. Hanno riportato la mia terra indietro di secoli, a livelli di inciviltà e intolleranza simili a quelli dei tempi di Maometto. Inciviltà contro cui Maometto si ribellava! Pensiamo alla vicenda di Sakineh, che ci riporta a un tempo in cui alle donne non era concesso neppure diritto di parola. È barbaro, semplicemente barbaro. Ma il Corano, con tutto ciò, non c’entra. C’entra una lettura legalistica, formalistica, annichilente del Corano stesso.
Vita: Spesso si è parlato dell’Olanda come di un luogo particolarmente critico per il destino dell’integrazione europea. Lei, che vive nei Paese Bassi come rifugiato politico dal 1988, come vede il “futuro” di questo lembo avanzato d’Europa? Crede che quello che sta vivendo sia solo un problema dei “musulmani” o non, piuttosto, un’impreparazione di fondo degli europei ad accoglierli, confrontandosi con tradizioni e forme che tutto sommato non dovrebbero esser loro così estranee?
Abdolah: Ci sono milioni di persone che arrivano in Europa per cercare un’altra vita, non si può pensare di mandarle indietro, è un dato di fatto, che piaccia o meno. Mentre è nostro dovere lottare quotidianamente per fare sì che l’Italia, l’Olanda e l’Europa intera si impegnino ad accogliere queste persone, a mettere le parti più belle della loro cultura dentro la nostra e viceversa. Ad esempio, dobbiamo sforzarci di capire e di far capire che accettare l’islam non vuol dire accettare l’islam dell’Arabia Saudita o dell’Afghanistan. In Italia dobbiamo costruire (tutti insieme) un islam italiano, non lasciare che siano gli imam a crearlo al nostro posto. L’Olanda, dal canto suo, si trova in un momento cruciale della propria storia e deve, ripeto ancora deve, riuscire a non avere più paura. Sono certo che ce la farà, ho fiducia nella democrazia olandese. Ma solo a patto di vincere la paura.
Vita: E lei, non ha paura?
Abdolah: No, non ho paura. Non sono religioso, non sono ateo, amo il buon cibo e il buon vino, ma rispetto l’altro e ho fede nell’uomo. Sono inoltre profondamente convinto che se una cosa è fatta con amore, non può esserci paura. Io ho letto il Corano con amore, non con odio e nel Corano ho trovato amore, non odio. Lo ripeto, chi fa le cose con amore non deve, non può lasciare spazio alla paura.


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