Politica
Le parole vuote del Palazzo al Terzo settore
L'editoriale del direttore di Vita che apre in numero di gennaio del magazine: «Mai come in questi anni di pandemia dal Palazzo della politica si sono spese parole di miele nei confronti dei soggetti sociali. Ma i fatti e le politiche quasi mai sono stati coerenti con gli impegni presi»
di Redazione
Come dice Carl Gustav Jung «noi siamo quello che facciamo e non quello che diciamo di fare». Mai come in questi anni di pandemia dal palazzo della politica si sono spese parole di miele nei confronti dei soggetti sociali. Citiamo per tutti gli ultimi due presidenti del consiglio. Dal «Terzo settore, cuore pulsante della società» di Giuseppe Conte ai ringraziamenti di Mario Draghi al mondo del volontariato e del Terzo settore in occasione della Civil week dello scorso ottobre: «Voglio ringraziarvi nuovamente, a nome di tutti gli italiani. La generosità, l’altruismo di tanti durante la pandemia hanno dimostrato ancora una volta che l’Italia sa essere unita nei momenti più difficili. Ora dobbiamo lavorare per rendere il nostro Paese ancora più equo e coeso. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il Governo ha stanziato circa 11 miliardi per le infrastrutture sociali (…). In questo contesto un ruolo centrale lo avrà il Terzo settore. Intendiamo sfruttare la collaborazione tra impresa sociale, volontariato, istituzioni pubbliche. Il Piano ci impone anche di accelerare il completamento della riforma del Terzo settore. In questi mesi, voi lavoratori e volontari del Terzo settore avete fatto tanto per l’Italia, soprattutto per i più deboli. Ora tocca a noi aiutarvi, perché possiate continuare ad aiutarci».
Parole importanti. Ma quali sono i fatti seguiti a quelle parole? Il panorama è obiettivamente desolante. Sia chiaro non è solo colpa di Draghi ma anche di tutti i partiti, distratti ai bisogni del Paese e attenti a distribuire favori ai soliti noti (proprietari di villette e padroncini, ad esempio). Solo per limitarci a qualche caso relativo a Pnrr e legge di Bilancio il quadro è grossomodo questo.
Imposizione del regime Iva a tutti gli enti di Terzo settore, che manderà a gambe all’aria tanti piccoli gruppi di volontariato e associazioni non commerciali. Modifica prima introdotta furtivamente senza alcun confronto col Terzo settore e poi rinviata (ma non cancellata) di due anni. «Prorogare l’entrata in vigore di una simile norma è una presa in giro», hanno commentato le Acli con toni mai sentiti negli ultimi anni nei confronti della politica.
Bocciatura da parte del Governo e della maggioranza in sede di legge di Bilancio di tutte le richieste del mondo non profit previste da un emendamento che recepiva un lavoro di mesi di confronto, presso il ministero del Lavoro. Tra le norme cassate oltre al venir meno del fondo per progetti che tanto ha fatto in questi mesi di pandemia spicca la negazione della riduzione dell’Irap, riduzione che invece è concessa a tutto il profit.
Mancato invio — il ministro Andrea Orlando si era impegnato a farlo entro l’anno (la viceministra all’economia Laura Castelli promette via social «novità a breve») — alla Commissione europea del pacchetto fiscale che dovrebbe completare la riforma del Terzo settore, che ricordiamolo è datata luglio 2017. Un vulnus che sta creando scompiglio in tanti enti che ancora oggi non sono messi nelle condizioni di valutare compiutamente l’opportunità o meno di entrare nel Registro unico del Terzo settore (Runts).
Esclusione di 22.458 ragazzi dalle graduatorie del servizio civile universale, malgrado gli impegni assunti nel Pnrr, da parte della ministra per la Gioventù Fabiana Dadone. «Intendo valutare l’apertura del servizio civile universale a nuovi settori di intervento e nuovi ambiti, utilizzato come volano e integrazione per i giovani nel tessuto lavorativo e imprenditoriale del Paese. Nella mia visione, deve essere indirizzato a fornire e certificare competenze, a sviluppare abilità, ad aiutare i giovani nell’orientamento, nella formazione e nel self employment. Un sostegno, dunque, nella scelta del loro futuro, professionale e di vita. Un giovane che si mette in gioco è già a metà dell’opera e non sarà propenso a divenire il cosiddetto Neet di domani», dichiarava a Vita solo pochi mesi fa. E invece…
Appena 15 milioni in più nella legge di Bilancio (rispetto ai 100 milioni già stanziati) per i servizi domiciliari sociali erogati dai Comuni agli anziani non autosufficienti. Secondo il Patto per un Nuovo Welfare sulla Nonautosufficienza ne sarebbero serviti 300. Nel complesso i 115 milioni di euro — appena lo 0,38% dei circa 30 miliardi stanziati dalla Legge di Bilancio — si tradurranno in 39,65 euro per ognuno dei 2,9 milioni di anziani non autosufficienti che si contano in Italia. Una miseria.
Completamente ignorata la riforma del Reddito di cittadinanza, formulata dalla commissione Saraceno (a parole voluta dal ministro Orlando), che, come indicato da tanti soggetti sociali, avrebbe posto rimedio a clamorose incongruenze della misura come le iniquità di trattamento verso le famiglie numerose e verso gli stranieri.
E non è tutto qui. In ordine sparso altri “ringraziamenti” al “cuore pulsante” della società in queste settimane sono stati: il depauperamento del fondo per gli aiuti alimentari agli indigenti, l’esclusione del non profit dalla stragrande maggioranza dei bandi legati al Pnrr e clamorosamente anche da quello sui beni confiscati, la conferma degli stanziamenti per la cooperazione internazionale allo 0,22% sul reddito nazionale lordo. Quota ormai congelata da tre anni a fronte dell’obiettivo dichiarato dello 0,70% da traguardare entro il 2030. Da ultimo l’assordante silenzio che con cui palazzo Chigi ha accolto la richiesta di una grande parte del mondo del volontariato e della campagna Youmanity di dichiarare il 2022 anno nazionale del volontariato senza alcun costo per le casse dello Stato e di intraprendere il percorso per chiedere all’Unesco di dichiarare il volontariato patrimonio immateriale dell’umanità.
In buona sostanza per passare dalla psicoanalisi di Jung alla comicità politica di Grillo un grande “vaffa” al cuore pulsante del Paese. A quel mondo che per statuto e per legge guarda all’interesse generale e non agli interessi di bottega. Un “vaffa” silenzioso e quindi ancor più inaccettabile per i cittadini tutti, per il mondo del sociale e per il nostro giornale.
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