Giornata mondiale contro la droga

Le parole vecchie con cui ci illudiamo di fare prevenzione

Rai e Governo lanciano una nuova campagna di comunicazione, per informare i giovani sui rischi delle droghe. Un approccio vecchio e inutile. Una riflessione con Simone Feder

di Sara De Carli

«Quando racconti ai ragazzi che la droga uccide lentamente, loro alzano le spalle e rispondono “ma noi non abbiamo fretta”». Sono amarissime le parole con cui Simone Feder commenta la campagna di comunicazione sui rischi legati alle dipendenze realizzata dalla Rai in collaborazione con il Dipartimento per le Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si intitola “Ci sono scelte che possono cambiarti la vita. Pensaci un minuto!”: nove clip animate di un minuto, una per ogni sostanza, per «informare i giovani sulle conseguenze che derivano dall’uso di queste sostanze, perché a volte si pensa di conoscerle o di poterle controllare, ma i rischi sono tanti e gli effetti sono imprevedibili». Una presentazione insignificante, per una campagna che più vecchia non si può.

Il pupazzetto a cui scompaiono gli occhi, gli organi che vengono danneggiati, i toni dark: è tutto un già visto in queste clip, mentre da anni chi lavora con i giovani ripete che questo approccio non funziona. Simone Feder è educatore, psicologo, dirigente della Casa del Giovane di Pavia: dal 2017 tutti i mercoledì sera entra nel boschetto di Rogoredo, a Milano, per cercare le mani dei tanti ragazzi che lì vagano in cerca di una dose. Sul numero di VITA di aprile, dedicato all’impennata del consumo di sostanze tra i giovani, la sua storia apre il racconto di “quelli che non si voltano dall’altra parte”.

I ragazzi conoscono le sostanze e sono perfettamente consapevoli dei rischi, l’approccio disfunzionale si usava decenni fa, ma oggi sappiamo che non serve

Simone Feder

«I ragazzi conoscono le sostanze e sono perfettamente consapevoli dei rischi, l’approccio disfunzionale si usava decenni fa, ma oggi sappiamo che non serve. E questo continuo parlare di Fentalyn – che in Italia non c’è – contribuisce solo a incuriosire e creare la domanda», afferma Feder. Su quale registro bisognerebbe puntare invece? «Finché l’unica strategia sarà spaventare, non si riuscirà a modificare la naturale propensione dei giovani a cercare l’oltre. Il problema è che non gli diamo alternative valide che sappiano conquistarli e coinvolgerli. Bisogna lavorare per stimolare genitori e società a proporre altro», dice.


Serve un altro sguardo, serve «veicolare messaggi positivi, per esempio in un momento in cui la fatica più grande è quella di agganciare i ragazzi, raccontare che ci sono tantissimi loro coetanei che si danno da fare per tendere loro una mano – penso ai volontari di Rogoredo o agli studenti delle superiori che hanno mandato un libro con dedica per i ragazzi del boschetto – può essere qualcosa che “accende l’interruttore del cambiamento”».

Questo articolo è tratto dalla newsletter “Dire, fare, baciare” di martedì 18 giugno, l’appuntamento del martedì dedicato agli abbonati di VITA per parlare di educazione, scuola, famiglia. Puoi leggerla qui e se ti piace e vuoi riceverla ogni settimana, insieme a tanti altri contenuti dedicati, abbonati a VITA: grazie per il tuo sostegno!

In foto, un frame della clip di lancio della campagna di comunicazione “Pensaci un minuto” di Rai e Dipartimento per le Politiche Antidroga

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