Volontariato

Le parole di Rosa

E’ uscita anche in italiano l’autobiografia di Rosa, la straordinaria storia di una donna immigrata negli Stati Uniti a inizio ‘900

di Selena Delfino

A volte si ha la fortuna di fare certi incontri per puro caso, magari perché un briciolo di ricettività ti porta a prestare attenzione a un discorso o a qualche frase di una conversazione; poi la curiosità fa il resto. Ho avuto la fortuna di conoscere Rosa in questo modo, grazie a Oreste Magni che me ne ha parlato con entusiasmo, conscio di aver permesso a un importante documento storico e umano, ma anche a un grande romanzo autobiografico, di essere salvato dall?oblio.
La prima edizione italiana di Rosa, vita di una emigrante italiana è merito dell?Ecoistituto della Valle del Ticino, di cui Oreste Magni è il presidente. Rosa è una delle anonime protagoniste della nostra storia, una contadina nata a Cuggiono, piccolo paese alle porte di Milano, ed emigrata in America negli anni a cavallo fra ?800 e ?900. Può sembrare, ed in effetti è, una vicenda come tante altre, in un?epoca in cui, dal 1876 al 1926, più di 16milioni di italiani lasciarono la penisola. Ma non è solo questo: si tratta infatti di uno scritto unico nel suo genere che, per molti motivi, era importante non andasse perso. Ancora una volta è grazie a una coincidenza che questo non è successo: per un caso fortuito il direttore del Centro di ricerca dell?Università del Minnesota, Rudolph J. Vecoli, durante le sue ricerche sugli italiani di Chicago, si imbatte in un manoscritto di Mary Hall Ets, scrittrice americana e assistente sociale della casa di accoglienza dei Chicago Commons, che con passione trascrisse per anni le parole della sua grande amica italiana. Sì, perché Rosa non sapeva scrivere. Non era altro che una contadina dalla parlata tipica del cuggionese, temprata dal lavoro in filanda fin dall?età di 5 anni, abituata alla fame e alle privazioni e che per buona parte della sua vita fu completamente analfabeta.
Possedeva però un grande talento: sapeva raccontare. Negli inverni gelidi di Cuggiono, alla sera i contadini si riparavano dal freddo nelle stalle, riscaldati dal calore degli animali. La notte passava così, come Ermanno Olmi nel suo film L?albero degli zoccoli ha magistralmente mostrato: si pregava, si lavorava a maglia e ci si raccontavano delle storie alla luce fioca di una sola candela. Ed è così che questa bambina, allora di soli quattro anni, iniziò la sua grande dote di cantastorie: prima ascoltando e poi raccontando aneddoti, leggende e favole al suo piccolo pubblico.
Avrà sempre una vita difficile Rosa, dura e amara; saranno anni di emigrazione, di paura e botte, sarà un?esistenza intrisa da una fede incrollabile, una religiosità fatta anche di tanta superstizione, ma che, assieme alla sua straordinaria forza d?animo, sarà la ricetta grazie alla quale questa donna avrà il coraggio di raccontare di una vita di paura, forza e dignità. In America Rosa diventerà l??angelo delle storie? per la comunità di italiani a Chicago e più avanti anche per gli ospiti della casa di accoglienza dei Chicago Commons dove lavorerà come donna delle pulizie per più di trent?anni.
Questa donna straordinaria divenne talmente famosa che, ormai cinquantenne, era regolarmente invitata in tutti i centri di assistenza sociale di Chicago, nei circoli femminili della città e in molte università della zona dove intratteneva un pubblico entusiasta delle sue storie. Per questo, negli Stati Uniti, l?autobiografia di Rosa ha visto numerose edizioni a partire dal 1970, anno della scoperta del manoscritto, ed è considerato un importante documento storico da ricercatori, docenti e dal movimento femminile americano. Già, perché non dobbiamo dimenticare che Rosa era una donna, e non è per nulla usuale che una donna immigrata, nella prima metà del ?900 lasci dietro di sé una tale ricchezza di testimonianze. La maggior parte delle donne immigrate erano impoverite intellettualmente e fisicamente dalla lotta per la sopravvivenza, dall?onere di allevare i numerosissimi figli e soprattutto annientate nella loro dignità da una cieca sottomissione ai loro mariti.
Negli Stati Uniti c?è un forte interesse verso la cultura che l?emigrazione italiana ha portato. Nelle università esistono percorsi di studi legati a questi argomenti, dipartimenti e ricerche condotte non solo dal punto di vista sociologico ma anche da quello estetico-letterario. I documenti finora raccolti dal solo Centro di ricerca dell?Università del Minnesota corrispondono a 20 chilometri di scaffalatura? John Fante è una scoperta tutta americana, Pascal d?Angelo è pressoché sconosciuto nel nostro Paese, dove lui stesso aveva radici, ed è invece un classico della letteratura dell?emigrazione negli Stati Uniti. Nella nostra penisola, la valorizzazione e l?orgoglio dell?esperienza degli italiani come popolo di migranti è pressoché assente. Per questo la storia di Rosa è arrivata alle stampe nella sua edizione italiana nuovamente grazie a un caso fortuito e per merito dell?entusiasmo di alcuni suoi concittadini: un gruppo di Cuggionesi, che ha curato la traduzione del testo che ora possiamo leggere grazie all?Ecoistituto della Valle del Ticino.

Selena Delfino

Ai miei tempi nei paesi in Italia, la povera gente usava un po? di legna e carbone per cucinare, ma non avrebbe mai pensato di bruciarli per scaldarsi. Una volta terminato il lavoro quotidiano, tutti si ritrovavano in qualche stalla. Quindici o venti mucche, cavalli, un bue e a volte anche qualche pecora riuscivano a fare un po? di caldo anche durante l?inverno più rigido in quelle piccole stalle di mattoni imbiancati nelle corti di Cuggiono. Le mucche italiane non sono come quelle americane, non hanno sempre bisogno di aria fresca, stanno semplicemente nelle stalle.
Le donne e i bambini, di solito, stavano sul pavimento di cemento sul davanti della stalla, vicino alla piccola lampada a petrolio, a lavorare a maglia e a filare. Gli uomini andavano invece dietro sulla paglia con gli animali. Ridevano e scherzavano e giocavano alla morra.

Le persone povere nei paesi in Italia ridevano, cantavano e raccontavano storie e gli uomini giocavano alle bocce, o con le forme di formaggio o alla morra, ma erano sempre spaventati. In America la gente di ceto più elevato insegna a quella povera a non avere paura, ma in Italia, per lo meno ai miei tempi e penso anche adesso, la gente povera non osava guardare in faccia i ricchi, o chiedere al padrone qualcosa, una tale impertinenza non si era mai sentita a Cuggiono. Tutto quello che i poveri sapevano lo apprendevano l?uno dall?altro nei cortili, nelle stalle o alla fontana quando andavano a prendere l?acqua. Ma avevano sempre paura.

E un?altra donna disse “Facciamole una bambola”. Tutte dissero sì, me ne avrebbero fatta una. Quelle donne – avrei voluto che le vedeste – tagliarono via pezzi delle loro sottane, staccarono le guarnizioni delle loro gonne, sbrogliarono i fili dal bordo delle loro calze, tirarono fuori un po? di imbottitura dai loro materassi per procurarsi quello che serviva. E ognuna fece un pezzo. Una fece le mani e vi cucì tutte le piccole dita. Una fece i capelli con due trecce sporgenti davanti. Una preparò la testa e fece la faccia. “Vieni qui Rosa, fammi vedere i tuoi occhi; vieni qui Rosa, fammi vedere com?è fatto il tuo vestito; le mani sono più grandi dei piedi, che differenza fa? A Rosa non interessa, vero Rosa?”.
E così tutte parlavano e ridevano e mi dicevano di andare vicino a questa, poi a quella. Erano tutte così contente e disponibili. E io andavo in giro a guardare. In vita mia non avevo mai avuto una bambola, e questa stava venendo davvero bella. La stavano facendo proprio simile a me.

L?America! Ecco davanti a noi il paese dove chiunque poteva trovare un lavoro, dove i salari erano così alti che era quasi impossibile soffrire la fame, dove gli uomini erano liberi e uguali, dove persino un povero poteva avere un pezzo di terra tutta per sé!
Ma ora che eravamo così vicini alla meta non riuscivamo a credere che tutto quello stava capitando proprio a noi. Ce ne stavamo là, in piedi, in un silenzio religioso, interrotto solo dallo stridìo dei gabbiani che planavano sul ponte per poi riprendere il volo.
Quando entrammo nel porto, la terra era così vicina che pareva di toccarla con le mani. “Guardate – disse uno dei miei compaesani – l?erba verde, gli alberi verdi, la sabbia bianca, tutto proprio come nel vecchio continente”.

A quel tempo eravamo la sola, o quasi la sola, famiglia italiana del quartiere, i tedeschi e i norvegesi avevano paura a permetterci di abitare nei loro stabili. Quando arrivarono gli italiani, i norvegesi si spostarono altrove. Molti di questi erano siciliani. Gli irlandesi e i siciliani non andavano proprio d?accordo, erano sempre in guerra fra di loro. Le donne siciliane del pianterreno mettevano fuori la salsa di pomodoro ad asciugare al sole, tutto il cortile era occupato da quelle tavole coperte di salsa di pomodoro. Le irlandesi del piano di sopra stendevano i panni con la carta in mezzo per far sì che la corda non sporcasse le camicette bianche pulite. Quando toglievano le mollette dal bucato, la carta, e a volte qualche federa di cuscino, cadeva proprio nella salsa. Allora tutte si infuriavano e cominciavano a litigare.
Brani tratti da Rosa, vita di una emigrante italiana Ecoistituto della Valle del Ticino

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