Economia

Le parole del non profit/2

Il glossario da mutualità a non profit-no profit

di Redazione

 

Mutualità
Con mutualità si intende l'azione di reciproco aiuto: il soccorrersi e l'assistersi a vicenda. Il settore delle mutue identifica quindi una comunità o un gruppo riconosciuto e che si riconosce che costruisce e offre ai suoi membri sostegno o tutela anche materiale. In Italia il concetto di mutualità è stato uno dei motori che ha costruito quello di solidarietà: schematizzando, al fine di passare da mutualità a solidarietà, è necessario allargare l'insieme di coloro che condividono il patrimonio comune (che non è più prevalentemente materiale, ma in egual modo morale, ideale e materiale), ovvero si passa dai soci della mutua o da una comunità definita, alla persona, alla comunità umana, e a tutti gli esseri viventi (anche se resta da capire se è possibile parlare di solidarietà fuori dal genere umano).
Nota: Il concetto di mutualità richiama quello di assistenza e non quello di beneficenza. Sotto un rispetto più specificatamente giuridico/fiscale l'ordinamento italiano identifica come mutualistiche quelle azioni (pure meritorie) che un insieme di persone scambiano tra di loro ed esalta l'utilità sociale delle azioni rivolte all'esterno dell'insieme degli aderenti (e per alcuni soggetti giuridici si dice esclusivamente all'esterno) che così assumono un superiore interesse per la collettività e un più alto livello di meritorietà.
 
Non profit
Per arrivare a una definizione del non profit è utile rifarsi allo schema classificatorio di tali attività formulato dall'Sna (System of National Accounts), la carta degli statistici internazionali. Secondo l'Sna, le istituzioni non profit sono definite come enti giuridici o sociali creati per lo scopo di produrre beni o servizi il cui status non permette loro di essere fonte di reddito, profitto o altro guadagno di tipo finanziario per chi o coloro che le costituiscono, controllano o finanziano. In base a tale definizione non si esclude "né che dall'attività delle non profit si generi il reddito necessario a remunerare il lavoro di chi vi opera, né che l'attività di produzione sia accompagnata dalla vendita dei beni e dei servizi prodotti, né che da tale attività si generino redditi, profitti o altri guadagni finanziari". L'unico vincolo riguarda la non distribuzione degli utili (non distribution constraint). Un ulteriore criterio di classificazione prende in considerazione la fonte prevalente di finanziamento, distinguendo le non profit in market e non market a secondo che nella loro attività prevalgano i ricavi delle vendite di beni e servizi oppure i trasferimenti di fonte pubblica o privata.
 
Chiarito ciò, in base alla natura dei soggetti che le hanno costituite e alla destinazione dei servizi, si distinguono le seguenti tipologie di non profit:
•di pubblica utilità o a carattere mutualistico, che producono cioè servizi destinati esclusivamente ai propri soci, alle famiglie e alle imprese;
•di natura pubblica o privata, a seconda che i soggetti promotori siano enti pubblici o governativi piuttosto che cittadini od organizzazioni private;
nell'ambito delle non profit di pubblica utilità ci sono realtà che erogano servizi per la collettività e altre che, invece, rivolgono la propria attività alle persone. Rientrano nel primo gruppo le organizzazioni, di emanazione esclusivamente pubblica, che si occupano, per esempio, di servizi in campo ambientale, della difesa e della sicurezza, della previdenza sociale obbligatoria. Il secondo gruppo, quello relativo ai servizi di pubblica utilità alle persone, riguarda, invece, i settori della sanità, dell'assistenza sociale, della cultura, dell'istruzione e dei servizi al lavoro. In parte tali settori si sovrappongono anche a quelli tipici delle politiche di welfare state. Le non profit che prestano servizi rivolti alle persone possono essere costituite sia da soggetti pubblici che da privati.
 
Siamo, comunque, di fronte a un'impostazione e a un lavoro definitorio decisamente chiari, schierati dalla parte di chi non vede contrapposizioni tra non profit e mercato e tra non profit e impresa. Purtroppo, a fronte di una tale concezione la pratica statistica non si traduce in modelli di rilevazione che consentano di misurare efficacemente l'entità del fenomeno non profit. Si può anzi parlare, come fa Marco Martini (attuale rettore della facoltà di Statistica dell'Università di Milano-Bicocca, ndr.) di un "oscuramento" del non profit nelle statistiche italiane. È, infatti, proprio sul piano statistico che oggi si palesa il contrasto tra "una cultura moderna" che colloca il non profit "nel mercato e una cultura vecchia che parla di Stato e di mercato, e di una zona intermedia, evidentemente residuale, in cui chi si trova è destinato ad essere schiacciato ora dall'uno, ora dall'altro.
Così succede che quando si passa alla costruzione dei conti economici o delle statistiche sull'occupazione si individuano solamente alcuni settori fondamentali che non consentono di rilevare le imprese non profit. Tutte quelle realtà che producono servizi di pubblica utilità destinati alle persone nei settori dell'istruzione, della sanità, dell'assistenza, non sono oggi in alcun modo distinguibili dalle imprese profit. Sorte analoga tocca alle non profit create e controllate dalle istituzioni pubbliche, che si confondono nell'insieme della pubblica amministrazione. Non esiste inoltre alcun registro aggiornato delle non profit presso le Camere di commercio, né sono disponibili dati al riguardo all'anagrafe tributaria o negli archivi degli enti previdenziali. Il risultato è che oggi nessuno è in grado di sapere quante sono, quanto producono, che occupazione hanno. Le uniche realtà che vengono rilevate a livello statistico sono così i club, i gruppi mutualistici e le charities. Così, secondo Martini, la mancata rilevazione delle imprese non profit nelle statistiche pubbliche nazionali "contribuisce all'equivoco di ridurre" tutto "alle associazioni di volontariato o ai club". (Giorgio Vittadini, Il non profit dimezzato, EtasLibri, 1997)
 
Non profit o no profit?
Non profit: proviamo a fare un po' di chiarezza sulla grafìa e sul suo significato. Profit, termine latino, forma contratta della terza persona singolare (modo indicativo, tempo presente), del verbo proficere che significa avvantaggiare. La parola confluì nel vocabolario anglosassone, tra il Cinquecento e il Seicento, ad opera di alcuni monaci. Non profit, termine d'origine americana più che anglosassone, sta per non profit organizations, e indica quegli enti che operano senza avere per fine primario il conseguimento del profitto (il termine scientificamente più usato è, infatti, Not for Profit). Il che non vuol dire che non possano conseguire dei profitti, ma semplicemente che questi debbano essere reinvestiti nel perseguimento del fine primario di queste organizzazioni. Riassumendo: giusto scrivere non profit, sbagliato no profit.
E il Terzo settore, perché è definito come settore terzo? Con quest'espressione, usata spesso come sinonimo di non profit, si indica l'insieme dei soggetti che operano secondo logiche e meccanismi che non appartengono né allo Stato né al mercato. Definizione considerata da alcuni inadeguata perché è una definizione per negazione. Costoro preferiscono parlare di "economia civile".
 

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