Cultura

Le parole che cambiano – Media

“Media” per lui non è parola inglese. E' latino, neutro plurale di medium, mezzo. In secondo luogo, per lui, i media sono quello che è stata la prospettiva nel 1400. Ma chi è "lui"?

di Giuseppe Frangi

media, s. m.pl. Riduzione del sintagma mass media, mezzi di comunicazione di massa medium, sostantivo latino Neutro sostantivato di medius, ?mezzo? (dal Dizionario italiano Sabatini Colletti) Tanto per cominciare ?media? per lui non è parola inglese. è latino, neutro plurale di medium, mezzo. In secondo luogo, per lui, i media sono quello che è stata la prospettiva nel 1400: un nuovo modo di conoscere il mondo. Quindi non un semplice strumento, ma qualcosa di più. Di molto di più. Ma chi è ?lui?? Ad essere corretti dovremmo parlare di un ?loro? perché Paolo Rosa è tra i fondatori di un gruppo che ha fatto la storia della cultura visiva di questi ultimi 20 anni. Un gruppo conosciuto in tutto il mondo e che da pochi mesi si è accasato nella suggestiva sede milanese della Fabbrica del Vapore. Strutture vetero industriali nel cuore di Milano, in parte recuperate e in parte no, secondo l?inveterato vizio della città lombarda di abbandonare a metà i suoi progetti. Qui i mattoni trasudano, con il loro rosso cupo, della memoria di milioni e milioni di ore lavorative di cui sono stati testimoni. Oggi invece quegli stessi mattoni assistono quotidianamente al decollo di prodotti immateriali come i video e le installazioni realizzate dalla squadra di Studio Azzurro (i quattro fondatori, più un gruppo nutrito di giovani). Ma sull?immaterialità del suo e loro lavoro, Paolo Rosa, come sentiremo, ha molto da obiettare. E le pale che dai soffitti, mulinando, cercano di diradare l?ossessiva afa milanese sembrano dargli subito ragione: chi immaginava un asettico laboratorio del virtuale può sospettare di aver sbagliato indirizzo. Vita: I media ci sono amici o nemici? Paolo Rosa: Ovviamente, con il mestiere che faccio, li considero amici. Anche se non nascondo che ci stanno espropriando della nostra immaginazione. Il flusso ossessivo di immagini, l?esigenza continua di velocità intasa la nostra mente, impedisce una costruzione fondata su esperienze immaginative nostre. Oggi si è ribaltata la dinamica tra noi e le cose: sono le cose che ci vengono addosso, non siamo più noi ad andare verso di loro. Così si perde la voglia di affrontare la realtà, di mettere in campo le rispettive esperienze e quindi di fare esperienza. è questo il dinamismo che produce immaginazione, capacità di letture delle cose, coscienza critica. L?offensiva ?mediatica? oggi usurpa spazi che devono essere nostri. Vita: Mettiamo che domani la nominino direttore di un tg di grandi ascolti: lei come si comporterebbe? Rosa: Ipotesi impossibile, ma sto al gioco. Mi piacerebbe dare più strumenti per far capire a chi guarda quel che sta guardando. Vorrei dargli gli anticorpi per difendersi da quell?espropriazione. La sfida centrale è avere la proprietà di lingua per decifrare sino in fondo ciò che ci viene sottoposto. Ma per farlo bisogna che chi produce immagini, a qualsiasi livello, ribalti attitudine. Vita: In che senso? Rosa: Bisogna rimettere lo spettatore al centro. La cosa riguarda anche chi ha prodotto arte in questi decenni, perché tanta arte contemporanea ha lasciato le persone in balia del circuito massmediatico. è stato mutuato il meccanismo proprio della pubblicità: si fa un brain storming per elaborare una buona idea e poi ci si affida alle tecniche del marketing. Cattelan in questo senso è un maestro. Ma io mi dissocio dal comparto chiamato ?arte contemporanea?. Come ci disse una volta Jacques Derrida durante un workshop, l?arte dovrebbe essere tutto fuoché il contemporaneo. Dovrebbe essere un?oscillazione tra il vivere una memoria e progettare il futuro. Tutto quindi, meno che il contingente stretto. L?ideologia che passa è quella dell??ora e subito?, del piegarsi al presente continuo, senza obblighi di pensare al domani. Vita: Invece per voi noi non è così? Rosa: Per noi il corpo dello spettatore è un?entità fondamentale nel processo della creazione artistica. Io misuro la riuscita di un?opera da quanto, senza quasi accorgermene, riesco a trasformarmi da autore a spettatore dei miei spettatori. I paradigmi estetici non possono più consistere solo nell?opera, che invece funziona da innesco, ma devono comprendere la bellezza della reazione. Devono avere l?energia di scatenare relazioni tra le persone che in quel momento diventano complici di una storia creativa. Quanto più questo processo riesce, tanto più l?opera è riuscita e io, autore, sto a osservare la meraviglia di quello che è avvenuto. Vita: Mettendo in conto anche l?imprevedibilità delle reazioni? Rosa: Certo. Questo è un punto fondamentale. L?opera va oltre quello che io avevo potuto progettare. Nell?interattività la tentazione è spesso quello di prefigurare i gesti di chi guarda, per tenere sotto controllo quello che stai proponendo. Invece lo scarto importante avviene se la reazione non corrisponde a quello che avevi pensato. è il segno che hai sollecitato nel tuo interlocutore la capacità di tirar fuori l?imprevisto, l?originale che da un lato libera l?immaginazione di chi guarda e dall?altro spazza via ogni possibile tentazione, da parte degli autori, di essere progettisti di comportamenti. L?interattività deve essere una via per tirar fuori quella potenza espressiva che è dentro di noi e che a volte non riesce ad emergere, perché c?è una corazza che la comprime. Nelle nostre opere più riuscite lo spettatore è un corpo che per un attimo si sbilancia e in quell?oscillazione diventa fortemente espressivo. Vita: Il media come fattore di liberazione… Ma ammetterà che si tratta di esperienze minoritarie. Rosa: E come si fa a negarlo? Eppure la funzione degli artisti è quella di creare le condizioni per generare gli anticorpi rispetto alla situazione di emergenza in cui ci troviamo a vivere e a operare. Creare quella consapevolezza affinché le condizioni imposte o deviate che ci circondano possano essere rovesciate. Se non accade questo, temo che siamo finiti. Del resto è contro ogni buon senso pensare alle tecnologie come a un elemento neutrale, quando sono nate e si sono sviluppate a partire da esigenze che sono militari o economiche o di mercato. La loro genetica è estranea agli interessi nostri o della poesia in genere. Eppure dentro quell?assetto si possono generare degli anticorpi. Vita: Concretamente come può avvenire questo ribaltamento? Rosa: Io vedo un?analogia con quello che accadde con Dante sette secoli fa: lui prese tanti linguaggi per creare una lingua e ridare dignità di parola a tutti quanti. Oggi siamo in una condizione un po? opposta perché nell?Italia di Dante i tanti linguaggi nascevano e avevano un nesso stretto con i comportamenti comunicativi quotidiani. Oggi invece siamo stati invasi da tanti frammenti di linguaggio che però non stati generati dal nostro modo di essere e di lavorare. Sono linguaggi che ci vengono da emittenze altre. Ci sono piovuti addosso. E noi li sappiamo un po? leggere ma non li sappiamo parlare. Ora io mi chiedo: vale la pena metter le mani dentro questi linguaggi per cercare di dar loro una forma? Vale la pena tentare di appropriarsene e rilanciarli? Questa complessità di lingua che non può più essere semplicemente scritta con la simbolicità propria della parola, come la gestiamo? Vita: Probabilmente cominciando dalle scuole… Rosa: Certamente la scuola è un passaggio cruciale. Ho visto esperienze bellissime negli asili di Reggio Emilia, o al Museo dell?espressività del bambino nel Bresciano. Ho visto in loro una forza immaginativa spettacolare: mettevano in campo delle simbologie che avevano acquisito nonostante fossero piccolissimi, e le facevano esplodere dentro una dimensione di gioco. In un certo senso le demistificavano. Ho visto in loro un grande disincanto e una grande partecipazione creativa molto lontana dalla ?sacralità? della televisione o della tecnologia. Vita: I bambini sono più ?intelligenti? degli artisti? Rosa: In effetti… Molte volte mi sono trovato in polemica con colleghi che usano le tecnologie considerandole meri strumenti. Come se il nostro problema fosse quello di dominarli. Ma i media e le nuove tecnologie non sono cacciaviti o martelli. Sono strumenti che hanno una grande capacità di elaborazione, che hanno un grado di intelligenza che quanto meno ti obbliga a un atteggiamento un po? più dialogante. Altrimenti tu credi di usarli e in realtà sono loro che stanno usando te. C?è un?analogia con quel che accadde all?inizio del Quattrocento con la scoperta della prospettiva, che era ben più di uno strumento per mettere in fila le case in una rappresentazione spaziale: era una dimensione di lettura e di costruzione del mondo. Eppure anche allora la prospettiva venne vista come un gioco, come uno sconfinamento nel virtuale più che come una rivoluzione culturale. Allo stesso modo le nuove tecnologie sono delle schegge di concezione del mondo. Ci vuole la pazienza di capirla e di farla nostra. Invece oggi l?arte si è chiusa in un circolo elitario e si è sganciata dal senso comune. Lasciando che il senso comune venisse tutto riassorbito all?interno dei mass media. Se riusciremo a rompere questo schema, vi garantisco che ci saranno conseguenze di una positività enorme per tutti. Video ergo sum Chi è Paolo Rosa ? Paolo Rosa nel 1982 ha fondato con Fabio Cirifino, Leonardo Sangiorgi e Stefano Roveda Studio Azzurro. Nel gruppo Rosa è specializzato in arti visive e cinema. Nel 2000 ha girato un film di grande interesse, Il mnemonista con Sandro Lombardi .


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