Formazione

Le parole che cambiano / Banlieue

Parlare di banlieue con Aldo Bonomi, significa arrivare al centro del mondo e delle sue grandi trasformazioni. La periferia geografica non è affatto una periferia della storia

di Giuseppe Frangi

Lo hanno capito bene i parigini che in queste settimane hanno visto esplodere il mondo sulla porta di casa. Una sequenza impressionante di notti di violenza, a cui la politica ha risposto con l?arroganza di chi in realtà è assolutamente impotente davanti alla realtà. Così la parola banlieue è diventata una parola emblema di tutte le paure che il mondo ricco non riesce più a dominare. Simbolo di una realtà sfuggita di controllo, rappresentazione di un cono d?ombra nel quale naufragano tutte le vecchie chiavi interpretative.

Banlieue, s.f., lingua francese. In italiano: periferia
Periferia, s.f. 1. Zona, quartieri esterni, al limite di una città; spesso specificati anche dalla caratterizzazione sociale. 2. di periferia: proveniente da, spesso con valore dispregiativo

(dal Dizionario ital. Sabatini Colletti)

Con Aldo Bonomi abbiamo provato ad avventurarci in questa zona grigia. Non ha la presunzione di dare ricette. Tra le mani ha l?ultimo numero di Communitas, dedicato alla ?nuda vita?. E con una punta di orgoglio sottolinea: «Qui dentro c?è una chiave per capire quello che è accaduto a Parigi».

Vita: In che senso?
Aldo Bonomi: Per capire i fatti francesi dobbiamo ragionare attorno a tre categorie: moltitudine, vita nuda e comunità. Il Novecento è finito e quindi anche le sue categorie devono essere definitivamente archiviate. Mi riferisco ad esempio all?idea di classe. Ma anche una categoria tanto in voga oggi, quella dello scontro di civiltà è assolutamente inadeguata a capire quello che è accaduto.

Vita: Sembra di intuire che là dove una volta c?erano le classi oggi c?è la moltitudine. È così?
Bonomi: È così. Nella dimensione dell?ipermodernità le classi non ci sono più. C?è invece la moltitudine, che è innervata di un?infinità di processi incrociati. E che sulla scena straordinariamente spettacolare di Parigi lancia la sua sfida all?impero. Che la rivolta delle banlieues sia la rivolta delle moltitudini, non ho dubbi. È una componente sociale che non è gerarchizzata in classi, e non è neppure interclassista perché vive la classe come assenza. Pensate quali difficoltà si trovino davanti coloro che invece continuano a leggere la società secondo quelle vecchie categorie!

Vita: Ma le moltitudini per forza di cose devono andare in rotta di collisione con l?impero?
Bonomi: No. Basti pensare a quattro situazioni cruciali di questa nostra epoca. La Cina innanzitutto: qui c?è una moltitudine messa al lavoro secondo un modello ancora fordista. Poi l?India: qui c?è la moltitudine messa al lavoro nel terziario, con la delocalizzazione dei call center. Infine il Brasile: la terra delle moltitudini ?agricole? che possono trovare futuro nella ricchezza della terra. E non dimentichiamo la moltitudine delle economie informali delle metropoli come Dakar, esplorate da Serge Latouche.

Vita: E Parigi?
Bonomi: A Parigi c?è una quinta accezione di moltitudine. Ed è quella della ?vita nuda?. Sono tutti gli estromessi dal grande processo che ha trasformato i cittadini in ?utenti-clienti?. In persone che, grazie a un reddito, possono godere del potere simbolico, e quindi anche di senso, dei beni di consumo. Non è un caso che tra le richieste dei ragazzi parigini ci sia quella del reddito minimo garantito: perché è la reale porta di accesso al mondo. Perché li rimette in circolo come clienti. In realtà oggi questa moltitudine delle periferia ha una sola arma tra le sue mani: la vita nuda. E l?ha gettata nella mischia. Giocando la forza della prossimità, che è l?unica rete rimasta in piedi. Le reti ?lunghe?, quelle in grado di portarti fuori dal ghetto, sono tutte saltate. Sono rimaste le reti ?corte? che comunicano per contatto quasi fisico ma che non sono in grado di far saltare il muro.

Vita: Ma queste ?reti corte? non potrebbero essere embrioni di nuove comunità?
Bonomi: In realtà quella a cui stiamo assistendo è la dissolvenza di ogni forma di comunità. Siamo di fronte alla comunità come assenza. Ma questo può essere un punto di partenza. Meglio infatti avere una percezione così che trovarsi imbrigliati in surrogati di comunità, imperniati sull?identità di razza e di etnia. Come ha scritto Emmanuel Levinas, «l?identità non sta nel soggetto ma nella relazione». Quindi ogni ricostruzione inizia da un tu, con tutte le implicazioni enormi che questo comporta. Certo, per chi lavora nel sociale può sembrare una prospettiva scoraggiante. Ma un appiglio resta. Mentre alla politica che continua a insistere su vecchie categorie di appigli non ne restano più.

Vita: Eppure c?è chi ha letto questa situazione nel quadro del conflitto di civiltà?
Bonomi: È stata la prima lettura accreditata da chi ha perso le categorie per capire quel che stava accadendo. Hanno detto che si trattava di una rivolta dell?immigrazione in cerca di un?identità perduta. Ma è un?intrepretazione fuori dalla realtà. Quelli che si ribellano hanno passaporto francese, senza averne l?identità; sono stati buttati fuori dal ciclo produttivo e quindi luddisticamente si scagliano contro le merci che sono loro negate. È una rivolta contro le merci, così come agli albori del capitalismo c?era stato chi distruggeva le macchine da cui si riteneva schiavizzato. È una moltitudine all?interno della quale si possono rintracciare tanti percorsi differenti, compresi quelli della migrazione. Ma lo specifico che unisce tutti è un altro.

Vita: C?è da dedurre che quello che è accaduto a Parigi potrebbe ripetersi domani ovunque?
Bonomi: Non è così, anche se prima di Parigi per esempio avevamo avuto Birmingham. In Francia sono stati mesi in atto meccanismi di inclusione, si è investito in case popolari che oggi si scoprono essere dei veri ghetti dove si concentra la ?nuda vita? non messa al lavoro. L?Italia in realtà ha il vantaggio di avere 30 anni di ritardo. E quindi in teoria ha tempo per prendere le contromisure. Ma c?è un altro dato che fa capire come difficilmente potremo vivere una situazione simile: sui 2 milioni 800mila immigrati regolari, solo poco più di metà vivono nelle grandi città. Il resto è disperso sul territorio, dove i processi di integrazione sono molto più semplici e meno traumatici. Inoltre l?Italia è il paese delle 100 città, non dell?unica metropoli-stato in cui si concentra praticamente tutto un paese, com?è il caso di Parigi. Certo, ci sono anche i grandi coni d?ombra, come gli 8mila clandestini che, secondo il Naga, vagano nelle fabbriche diroccate di Milano. Non sono un ghetto, ma sono una piccola moltitudine di baraccati. Sino a quando sopporteranno?

Vita: Un altro fenomeno che emerge dai fatti di Parigi è la frantumazione di tutte le reti associative. Come ce lo si spiega?
Bonomi: Quei ragazzi, davanti a loro, hanno trovato solo gli assistenti sociali o la polizia. La realtà è che oggi è difficile mettersi in mezzo, perché il conflitto ha bruciato i terreni di neutralità e comunque sei identificato come appartenente alla classe degli ?utenti-clienti? che ce l?hanno fatta. Chi si mette nel mezzo si trova completamente delegittimato. Non sta in piedi neppure l?ipotesi di costruire una comunità identitaria, perché poi viene risucchiata dalla nostalgia e resta quindi emarginata e conflittuale. A chi lavora nel sociale non resta che lavorare sul senso di comunità come ?assenza di comunità?. è l?unica consapevolezza che permette di ricostruire opportunità di ?reti lunghe?, cioè in grado di portare fuori dal ghetto. Come fattore incoraggiante ricordo che i progetti scaricati sui luoghi dall?alto non producono mai dinamiche positive. I progetti nati sul territorio hanno molte più possibilità di successo. Ho in mente il caso positivo della festa di vicinato proposta a Roma. Un intervento leggero che ricostruisce reti che si erano dissolte.

Vita: C?è una parola che in questa intervista è rimasta ai margini, ma seguendo il filo del suo ragionamento mi sembra la parola chiave: globalizzazione.
Bonomi: In effetti è la parola chiave. Oggi sperimentiamo la globalizzazione nella sua dimensione antropologica. La globalizzazione nella sua materialità: di carne e di sangue. Siamo abituati alla globalizzazione delle merci. Ma non c?è solo lo ?spettacolo? della merce. C?è anche l?altro lato della medaglia che non eravamo abituati ad avere davanti agli occhi. Non vorrei che davanti a questo risvolto inatteso il mondo ricco rispondesse con la carcerizzazione della società. I numeri che Alessandro Margara dava settimana scorsa su queste stesse pagine mi preoccupano: oggi in Italia ci sono 190mila persone coinvolte nell?area penale. E sono 15 volte di più rispetto al 1990. Davvero un numero che spaventa.

Chi è Aldo Bonomi
L’ermeneuta delle comunità

Aldo Bonomi è fondatore e animatore del Consorzio Aster (Associazione agenti di sviluppo del territorio).
Ha realizzato numerose ricerche sulle problematiche dello sviluppo e delle forme di convivenza.
Tra i suoi volumi più recenti, La città infinita con Alberto Abruzzese, Che fine ha fatto la borghesia? con Massimo Cacciari e Giuseppe De Rita, Il passaporto dell?invisibile.
È editorialista del Sole 24ore e direttore di Communitas, il mensile edito dal gruppo Vita.

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