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Le ong in mani salde

cooperazione Elisabetta Belloni nominata al vertice della Direzione generale

di Redazione

Sulla carta il ministro plenipotenziario Elisabetta Belloni ha sostituto Alain Giorgio Maria Economides alla Direzione generale Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) venerdì 13 giugno, quando il Consiglio dei ministri ha ratificato la sua nomina, già nell’aria da almeno un paio di mesi. Nella pratica, tuttavia, la bionda e bella 49enne diplomatica romana è ancora direttrice dell’Unità di crisi della Farnesina e – come conferma il capo dell’Ufficio stampa del ministero degli Esteri, Pasquale Ferrara – ci dovrebbe restare sino a quando non sarà risolta, speriamo tutti positivamente, l’ultima grana che la Belloni si è vista piombare sulla testa, ovvero il rapimento di due cooperanti sequestrati in Somalia lo scorso 21 maggio. Fonti bene informate della Farnesina fanno sapere che l’insediamento alla Dgcs, tuttavia, non dovrebbe essere successivo al 15 luglio. Solo questione di tempo dunque.

L’ingresso alla Farnesina
Ma chi è Elisabetta Belloni e, soprattutto, qual è il background da cui è partita per arrivare alla testa della cooperazione italiana? Precisa e determinata come tutti quelli nati sotto il segno della Vergine, la Belloni si è laureata in Scienze politiche alla Luiss di Roma il 26 novembre 1982 con un obiettivo: essere la prima donna ad arrivare ai vertici della macchina diplomatica del nostro ministero degli Esteri. Per due anni ha fatto una full immersion in storia diplomatica, economia politica e diritto internazionale, le tre materie cardine per vincere il difficile concorso per entrare nel magic world delle feluche. Il primo febbraio del 1985 è entrata di diritto alla Farnesina.
La sua prima nomina di rilievo un anno dopo, quando entra all’ufficio XII della Direzione generale Affari politici, la prima palestra dove la Belloni si è fatta le ossa e ha imparato a farsi rispettare in un mondo tradizionalmente dominato da uomini che guardano con sospetto lei, donna e per di più determinata a fare carriera.
E in effetti l’ascesa della Belloni è straordinaria. Primo segretario alla Rappresentanza diplomatica permanente d’Italia presso le organizzazioni internazionali di Vienna dal 1993 al 1996, capo segreteria della strategica Direzione generale dei Paesi europei, fino alla nomina che l’ha portata alla ribalta delle cronache negli ultimi quattro anni, ovvero quella che l’ha vista guidare l’Unità di crisi, dal novembre del 2004.

Signora emergenza
Da allora ha dovuto affrontare un lungo elenco di emergenze. A cominciare dal dicembre del 2004 quando, appena un mese dopo essersi insediata, si era vista piombare tra capo e collo un disastro naturale senza precedenti nella storia recente: lo tsunami nel Sud-Est asiatico. Si è trattato di una catastrofe che ha rivoluzionato il modo di gestire l’assistenza ai nostri connazionali, diventato un “modello” anche per gli altri Paesi europei, molti dei quali si sono trovati impreparati dinanzi a una crisi di tali proporzioni.
“Signora emergenza”, come è stata ribattezzata da collaboratori e media, ammette di avere un temperamento forte («Ho la pressione bassissima, 90 di massima. Certo, a volte urlo anch’io…»), ma anche di essersi tante volte commossa. Ha raccontato in una delle poche interviste concesse: «Mi sono venute le lacrime agli occhi quando un padre a cui ho dovuto dare la notizia della morte della figlia mi ha detto: spero di non risentire mai più la sua voce». Del resto ha ammesso che il suo lavoro ha proprio questo aspetto atroce: «Quando devi dare una cattiva notizia alle famiglie. È un compito che tocca a me».
Adesso le resta l’ultimo caso da risolvere, la liberazione di Jolanda Occhipinti e Giuliano Paganini, prima di raccogliere una nuova e difficilissima sfida: rilanciare una cooperazione italiana ridotta oramai ai minimi termini. Elisabetta Belloni, con la determinazione che l’ha accompagnata da quando è entrata alla Farnesina, è convinta di riuscire nell’impresa, l’ennesima.


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