Economia

Le multinazionali premono. L’Italia resiste

Il grande business prova a varcare le nostre frontiere

di Redazione

La nostra agroindustria sinora non ha spinto sull’acceleratore.
Anzi, in alcuni casi ha fatto dell’ogm free una bandiera, come nel caso di Coop e Arena. Ma quanto durerà?Il fronte del sì vale già 10 miliardi di dollari. A tanto ammonta il giro d’affari annuale delle sementi biotech, coltivate in 25 Paesi del mondo. Mais, soia, cereali, patate. Neppure la grande crisi ha fermato la corsa degli ogm: negli ultimi dieci anni l’agricoltura transgenica è cresciuta di 80 volte per superficie, pari a 135 milioni di ettari, in crescita per estensione anche nel 2009 del 7%. Il che significa che un quasi un decimo di tutti i terreni coltivati in tutto il mondo sono seminati con ogm. E che il 22% del mercato globale delle sementi è geneticamente modificato.
Tuttavia nelle nazioni industrializzate, dove la qualità della vita è più alta, il transgenico sta battendo in ritirata. In Europa occidentale resta solo la Spagna a produrre mais ogm, mentre Francia e Germania hanno definitivamente chiuso il capitolo. Si sono ridotti a 6 su 27 i Paesi europei dove si coltivano organismi geneticamente modificati, con un crollo del 12% delle semine. Lo sottolinea Coldiretti sulla base di dati Isaaa, evidenziando che nella Repubblica Ceca sono stati 6.480 con un calo rispetto al 2008 del 23%, in Romania 3.245 ettari (-47%), in Slovacchia 875 ettari (-55%), in Portogallo 5.093 ettari (+5%), in Spagna 76.057 ettari (-4%) e in Polonia 3mila ettari per un totale di 94.750 ettari coltivati con ogm in Europa.
È nei Paesi in via di sviluppo che l’agricoltura biotech sta prendendo piede. Nel Continente nero soprattutto. Fino all’anno scorso solo il Sud Africa aveva adottato colture biotech. Quest’anno alla lista si sono aggiunti Burkina Faso ed Egitto, dove si è iniziato a coltivare soia transgenica. L’anno scorso poi anche la Bolivia si è affiancata ad Argentina, Cile, Paraguay, Uruguay, Messico, Colombia, Honduras e Brasile dando il via libera all’utilizzo di semi di soia ogm. Un bilancio in chiaro scuro quello degli ogm, che sembra illuminarsi nella mappa dei Paesi più poveri.

Belpaese attendista
E in Italia? Chi vuole portare davvero gli ogm nella Penisola? Secondo Stefano Masini, responsabile Coldiretti Ambiente, «l’industria italiana è tendenzialmente favorevole ma è ancora cauta, perché i consumatori sono molto attenti a quello che mettono in tavola. E perciò l’agroindustria non spinge sull’acceleratore». Sono moltissime le imprese alimentari (Arena, Fileni) come nella grande distribuzione (è il caso di Coop) che hanno costruito negli anni il business dell’ogm free. A premere ci sono le multinazionali d’oltre frontiera e coloro che sognano una più alta redditività delle coltivazioni. «Ma si tratta di illusioni», spiega Masini. «Le sementi ogm hanno un costo superiore, un prezzo poi regolato dai flussi della finanza che specula sulle materie prime. Il rischio concreto è che un’Italia pro ogm finisca col perdere biodiversità e pure competitività economica».


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