Politica

Le montagne russe della politica italiana, la crisi giorno per giorno

Ottantasette giorni di crisi politica, istituzionale ed economica, quasi tre mesi con un Parlamento in ozio. Riavvolgiamo il film della crisi, giorno per giorno e mettiamo in fila i protagonisti e le loro altalenanti affermazioni

di Redazione

Ottantasette giorni di attesa, quasi tre mesi con un Parlamento fermo, ma non nelle retribuzioni ai 960 parlamentari. Mai, nella storia della Repubblica, era passato così tanto tempo dalla data delle elezioni alla nascita di un governo. Governo che tra l’altro ancora non si vede. Nel mezzo, cinque giri di consultazioni, due mandati esplorativi ai presidenti di Camera e Senato e due pre-incarichi. Il primo a Giuseppe Conte, premier designato da Luigi Di Maio e Matteo Salvini per il governo M5s-Lega, il secondo al tecnico Carlo Cottarelli.

Soprattutto una politica che sembra essere salita sulle montagne russe dell’irresponsabilità e del calcolo poltico di bottega nel disinteresse del bene del Paese. Dichiarazioni di leader politici che alla mattina dicono una cosa e la sera un'altra. Con un campione assoluto, Luigi Di Maio.

Il risultato è una crisi politica, istituzionale e anche economica senza precedenti. Crisi che da qualche giorno è anche costituzionale.

Ripercorriamo le tappe della crisi facendoci aiutare dal sito del Quirinale.

4 marzo: le elezioni e nessuna maggioranza

All’origine di tutto ci sono il Rosatellum (la legge proporzionale votata, tra gli altri, da Partito democratico, Udc/Popolari per l’Italia, Lega e Forza Italia) e il voto dei cittadini, che nella notte del 4 marzo hanno consegnato all’Italia un Parlamento bloccato: Movimento 5 stelle primo partito, ma senza la maggioranza dei seggi, Lega in vantaggio sugli alleati di centrodestra, anche loro senza maggioranza pur essendo prima coalizione. E poi il Partito democratico da forza di governo a partito con il 18,4% dei consensi.

12-26 marzo, il bacio prenditutto di Salvini – Di Maio.

Come stabilito dall’articolo 61 della Costituzione, entro venti giorni dalle elezioni deve tenersi la prima seduta delle Camere. E così è stato. Deputati e senatori sono stati chiamati a eleggere i presidenti di ciascun ramo del Parlamento. Dopo i primi scrutini senza esito, il primo colpo di Matteo Salvini: proporre il nome della forzista Anna Maria Bernini per Palazzo Madama senza il consenso di Silvio Berlusconi. Un'azzardo che sblocca il dialogo con il Movimento 5 stelle, mettendo da parte il candidato del centrodestra Paolo Romani. Il giorno successivo, dunque, ecco l’elezione del pentastellato Roberto Fico come presidente della Camera e della forzista Maria Elisabetta Alberti Casellati come presidente del Senato. Un trionfo per il neonato asse M5s-Lega che si accaparra tutto dagli uffici di presidenza ai questori, dai presidenti delle Commissioni speciali ai vice presidenti senza lasciare nulla al Partito democratico.

12-26 aprile, primo giro di consultazioni, i veti

Superate le vacanze di Pasqua, Mattarella inizia il primo giro di consultazioni con i partiti. Esito negativo: nessun partito si dice disponibile a scendere a patti con gli avversari. Il centrodestra, in questa prima occasione, si presenta separato.

Dopo una settimana Mattarella ci riprova, ma il tempo – e le notti – non portano consiglio ai partiti. Il centrodestra questa volta si presenta unito, ma tiene banco il dialogo con il Movimento 5 stelle. E iniziano i veti incrociati: Di Maio dice no a Berlusconi, Berlusconi dice no a Di Maio, Salvini dice no a Renzi.

Per uscire dallo stallo, il Colle tenta la carta del mandato esplorativo alla presidente del Senato Casellati per verificare l’esistenza di una maggioranza parlamentare tra i partiti della coalizione di centrodestra e il Movimento 5 Stelle. Obiettivo: fare presto. E dare un governo al Paese. Un tentativo che sembra possibile, ma poi il perentorio veto di Di Maio a Berlusconi vanifica il tutto. E Salvini non sembra preoccupatissimo. Il 20 aprile Casellati rimette il mandato constatando che non ci sono le condizioni per trovare un accordo. E Di Maio in una delle tante dichiarazioni di cui si pentirà: “Lo dico ufficialmente, qualsiasi discorso con la Lega finisce qui”.

23 aprile, Fico esploratore, un’ipotesi lunga tre giorni

A questo punto tocca alla terza carica dello Stato, il presidente della Camera, verificare l’esistenza di una maggioranza parlamentare tra il Pd e il Movimento 5 stelle. Fico incontra la dirigenza dem, fra cui il segretario reggente Maurizio Martina, e il dialogo sembra possibile sia pur con tutte le cautele del caso. Dopo tre giorni l’inquilino di Montecitorio sale al Colle per comunicare, in maniera un po’ sorprendente, l’esito positivo del suo mandato. Ma anche in questo caso la situazione precipita. Domenica 29 aprile Di Maio intervistato dal Corriere dice che l’ipotesi è percorribile purchè si smonti il Job act, la sera Matteo Renzi a Che tempo che fa, risponde per le rime, il Pd – dice l’ex segretario dialoga con tutti ma la fiducia a un governo pentastellato, no. L’ipotesi tramonta prima che sorga il sole.

7 – 21 maggio, il Contratto di Governo

Il capo dello Stato è costretto a un nuovo giro di consultazioni per cercare di risolvere lo stallo. Al termine della giornata, e dopo aver constatato l’ennesima indisponibilità dei partiti, Mattarella decide di parlare in prima persona. Lo fa con parole precise, puntuali, che tracciano una roadmap: o si vota un governo “neutrale”, in grado di traghettare l’Italia fino a gennaio 2019 (così da poter affrontare gli appuntamenti europei e la legge di stabilità), o si va al voto entro l’estate, cosa – sottolinea il capo dello Stato – mai successa in passato. Un discorso che convince i partiti a spingere sull’acceleratore: Di Maio e Salvini avviano l’ennesimo dialogo, chiedono proroghe, rilasciano un comunicato congiunto. All’orizzonte inzia a profilarsi il governo giallo-verde. Che parte davvero solo dopo il via libero un po’ rancoroso di Berlusconi. L’alleanza fra Lega e Movimento 5 stelle non comporterà la rottura della coalizione di centrodestra, la Meloni ha mal di pancia ma tranggia l’amaro calice. Il 14 maggio Mattarella convoca i due partiti. Sembra tutto risolto, ma invece c’è bisogno di altro tempo per chiudere un “contratto alla tedesca” voluto dal Di Maio per mettere nero su bianco la lista delle cose da fare per il nuovo esecutivo. Dopo un paio di bozze allarmanti si arriva all’accordo, Di Maio e Salvini presentano il programma definitivo al Colle (approvato con un plebiscito sia dagli iscritti alla piattaforma Rousseau, sia ai votanti ai gazebo organizzati dalla Lega) all’ennesimo appuntamento di consultazioni. “Sarà il contratto il nostro leader” dice Di Maio. Poi chiedono altro tempo per trovare il nome del candidato premier. Si tratta dell’avvocato civilista Giuseppe Conte sino a qui sconosciuto. Faceva parte della lista di ministri in pectore indicata da Di Maio in campagna elettorale. Ma non è eletto in parlamento ed è alla primissima esperienza politica.

23 maggio, Conte accetta con riserva

Il governo giallo-verde è a un passo dal nascere. Conte viene convocato al Quirinale e Mattarella non si oppone alla sua nomina, affidandogli l’incarico, che il professore (come da prassi) accetta con riserva. Inizia la trattativa fra Movimento 5 stelle e Lega per la squadra di governo.

27-28 maggio, Conte rifiuta e arriva Cottarelli

Eccoci al casus belli: la proposta (senza alternative) di Paolo Savona al ministero del Tesoro, la casella più importante del governo, secondo Salvini. Savona, infatti, ha un problema: è autore del Piano B messo nero su bianco e illustrato in tanti convegni (qui cos’è il Piano B), il Colle non ci sta. Mattarella chiede ai partiti di indicare un’alternativa, ma Salvini non intende fornirne alcuna. Il ministro in pectore, scrive una lettera di molta parziale rettifica delle sue tesi su un sito “No euro”. Non basta. Dopo una giornata di attesa Conte sale al Colle con la lista in tasca. Ma Conte non trovando sponda ad alcuna mediazione rimette il mandato, Mattarella fa un discorso in cui è costretto a spiegare le ragioni della sua scelta, Di Maio grida all’impeachment. In serata il Colle fa sapere di aver convocato l’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli per il giorno seguente. Sarebbe un governo “tecnico” e neutrale destinato a portare il Paese a nuove elezioni.

29 maggio, Cottarelli in stand by e non è finita

Cottarelli è atteso dal capo dello Stato con la lista dei ministri. Ma non succede niente. Anzi. I corazzieri, di solito fermi ai lati del portone per tutta la durata degli incontri, si allontanano. Tra i giornalisti si scatena il panico: Cottarelli è uscito dal retro del Quirinale senza rilasciare dichiarazioni. E soprattutto senza sciogliere la riserva. All’improvviso esce il capo della comunicazione della presidenza della Repubblica, che in modo del tutto irrituale rimanda ad oggi la fine della lunga, lunghissima, fase post-elettorale. Che pare non sia finita. Infatti Di Maio fa marcia indietro sulla messa in stato d’accusa del Presidente e sale al Quirinale cercando di riannodare le fila di un discorso interrotto. Ma Salvini non ci sta, forse.

Vedremo domani. Al momento abbiamo ben tre mezzi Governi, quello Gentiloni che non riesce ancora ad andare a casa, quello Cottarelli pronto ma in stand by, quello Conte che pare rientrare sulla scena. Il problema è che tre mezzi Governi non ne fanno uno, dopo 87 giorni!

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