C’è un libro che Carlo Levi, l’autore di Cristo si è fermato ad Eboli, è andato vergando durante tutto l’arco della sua esistenza e che non ha mai saputo di avere scritto coscientemente. Si tratta di una “raccolta di saggi, articoli, interventi politici, discorsi parlamentari, reportages di viaggi, lettere aperte, interviste e prefazioni ad eventi editoriali”, come recita il sottotitolo, che hanno un unico incredibile soggetto: la pluralità dell’anima italiana che travalica ogni schema preconcetto.
Il merito dei saggi sta tutto in questa lettura non pregiudiziale di fenomeni che interessavano la società italiana degli anni cinquanta e sessanta, cioè in un momento cruciale della storia italiana. La ricchezza di sfumature alle quali affida le sue analisi antropologiche e sociali fanno di Carlo Levi un moralista, nel senso latino del termine, postmoderno, il quale assiste al tramonto della civiltà contadina e alla trasformazione della società italiana, registrandone un doloroso quanto inevitabile esito industriale. Un reportage ancora vivo sulle tante “Italie umane” di cui è composta la ricchezza della nostra terra.
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