Formazione

Le mie lacrime a scuola

Yalla Italia con VITA 35/2007: Presi la parola in assemblea per spiegare che siamo tutti figli dello stesso Dio. Non mi hanno capito. Di Rasmea Salah

di Redazione

Conclusa la pausa estiva, a scuola non si parlava d?altro ovviamente. Alle normali lezioni si sostituivano grandi dibattiti sulla politica estera statunitense, ripercorrendo un excursus storico su tutte le sue azioni militari all?estero, per cercarvi delle risposte, forse un rapporto causa – effetto, tra le politiche intraprese e quella strage. Dopo giorni di disordine scolastico, fu indetta una riunione straordinaria nella palestra della scuola per osservare tre minuti di silenzio per le vittime e per confrontarci su quanto accaduto oltreoceano. Eravamo stati travolti da eventi più grandi di noi a cui nessuno era preparato ma a cui eravamo chiamati, se non a rispondere, almeno a riflettere e a dire la nostra. Il dibattito prese subito una piega accusatoria – più che di partecipazione al dolore per le vite scomparse – volta a puntare il dito contro il nemico. Quest?ultimo doveva essere definito, precisato e circoscritto. Fu in questo modo che il mondo arabo-islamico salì alla ribalta dell?attenzione dell?opinione pubblica mondiale. Mentre fioccavano gli istintivi ed immaturi commenti degli studenti – come sfoghi necessari a lenire quel senso di stordimento di fronte alla storia – io mi sentivo colpita nel mio io più profondo e mi sentivo chiamata in causa per difendere quel mondo arabo-islamico che conoscevo, che avevo vissuto, che mi aveva regalato un?infanzia felice, che mi aveva insegnato i valori della vita, dell?educazione, del rispetto dell?altro, della spiritualità religiosa, della lealtà. Presi dunque la parola per invitare i compagni a non generalizzare e a non giudicare una cultura senza conoscerla, li esortai a non prendere come modello quella minoranza terrorista a cui ridurre tutto il mondo arabo e a non fare dell?islam una religione con la spada in mano pronta a scontrarsi con l?Occidente o il cristianesimo. Menzionai quindi quei momenti d?oro di convivenza interreligiosa della Storia tra islam e cristianesimo in Al-Andalus e in Sicilia e ricordai infine la comune origine delle religioni monoteiste e gli elementi che le accomunano. Il mio discorso, però, fu inteso a giustificare quell?atto ingiustificabile. Fui fraintesa e tacciata a mia volta di filoterrorismo davanti a tutta la scuola. Scoppiai allora in lacrime e lasciai la palestra di corsa. Se ci ripenso col senno di poi mi vengono ancora le lacrime agli occhi! Fu in quel momento che presi coscienza di me stessa, della mia pluridentità, della mia appartenenza religiosa e della mia responsabilità di diffondere, nel mio piccolo, alcune verità sulla ricchissima cultura arabo-islamica e sulla sua storia che potessero cancellare quei pregiudizi e quell?espressione ?terrorismo islamico?. Nessuna religione è portatrice di terrorismo. Lo è chi si arroga il diritto di uccidere in nome di essa.


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