Le mezze calzette tra noi

di Dan Lerner

Quando incappi in un titolo come “Scoperto un traffico internazionale di false calze griffate Pierre Cardin” è bene che tu ti ponga delle domande.

Leggo: “Erano quasi del tutto identiche alle vere calze di Pierre Cardin, da uomo e da donna, ma erano contraffatte e venivano vendute anche attraverso la grande distribuzione. Venivano prodotte in Turchia per conto di una società italiana, che si era accordata con una ditta tedesca. Ritrovato un notevole quantitativo di merce ritenuta contraffatta”.

Una multinazionale del malaffare, inevitabile la battuta, di mezze calzette ha evidentemente trovato convenienza nell’applicare indubbie capacità organizzative per montare un traffico di pedalini. E così scopriamo che anche calze contraffatte attraversano il mare nostrum che vede, nella stessa direzione, altri ben più dolorosi traffici di uomini e donne.

Solo in un primo superficiale momento si può sorridere –la mente va a Totò- di questo ennesimo tassello di un mondo che accecato dal profitto accantona ogni etica e legalità pur di produrre denaro, denaro, denaro.

Oggi però mi figuro non chi produce ma chi compra. Penso al mercato. Dunque c’è un mercato. “Oltre 1.000.000 di pezzi nel solo 2011” dice la stampa.

Vorrei parlare con gli acquirenti. Con chi compra calze per il marchio in etichetta e non per qualità e convenienza. Con chi anche in un prodotto così povero e poco glamorous sente l’esigenza della rassicurazione sociale di una firma.

L’incapacità di discernimento, la disabitudine a pensare a cosa sia bene, a cosa ci faccia bene, a cosa sia giusto, può partire dalla scelta di un calzino ma porta inevitabilmente a quel “così fan tutti” che troppe volte ascoltiamo in questi giorni dai ladri, dagli evasori fiscali, da coloro che forano le gomme dell’auto di un disabile.

 

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