Volontariato

Le lotte dei giovani per il diritto al futuro: riconoscerle, farle durare e dare loro spazio

di Pasquale Pugliese


Ero anch’io uno studente liceale quando l’Europa fu attraversata dall’ultimo grande Movimento di giovani e giovanissimi che chiedevano il diritto al futuro: erano gli anni ’80 del secolo scorso e in tutte le capitali europee sciami di studenti comprendevano che la lezione più importante era quella sul diritto alla vita – contro la follia del dislocamento di missili nucleari puntati contro l’Europa dell’Est e dell’Ovest – che rivendicavano nelle piazze, nelle strade, difronte alla basi militari. Erano gli anni in cui – anche sulla spinta di quel movimento – intellettuali come Gunter Anders pubblicavano “Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki”, Norberto Bobbio la raccolta di saggi “Il problema della guerra e le vie della pace” e Johan Galtung avviava la peace reserch internazionale connettendo – già allora – il tema della pace con la questione ecologica in “Ambiente, sviluppo e attività militare”. E i partiti della sinistra europea, insieme ai nascenti movimenti politici ecologisti, sostenevano ovunque la lotta degli studenti. Un Movimento che – collegando le manifestazioni dell’Ovet a quelle del dissenso crescente nei Paesi dell’Est – contribuì, infine, all’abbattimento del Muro di Berlino nel 1989 ed alla fine di quella fase di corsa agli armamenti.

Da allora ad oggi, molte fiammate “movimentiste” hanno acceso i giovani europei, ma – come sappiamo dalla storia delle lotte nonviolente internazionali, da quelle gandhiane per autogoverno dell’India a quelle per i diritti civili negli USA o contro l’apartheid in Sudafrica e come ci ha insegnato Paulo Freire in “Pedagogia degli oppressi” – solo quando matura la coscienza della propria situazione di oppressione, che toglie il fiato e la speranza, accade che gli oppressi si mobilitano e lottino per il cambiamento dello status quo. Con tenacia e determinazione. E – analogamente a quanto avvenuto negli anni ’80 – questo è ciò che sembra che stia avvenendo nuovamente oggi. Lo scrive Maximilian Probst su Die Zeit (riportato da Internazionale, n. 1926 anno 26): “Il primo elemento significativo di questa ondata di proteste è che a far sentire la propria voce sono i soggetti più interessati dalla minaccia del riscaldamento globale: i bambini e i ragazzi. Le loro richieste hanno un’efficacia diversa. Di solito a cambiare realmente le cose sono persone direttamente toccate da un problema, molte più di quelle che lo osservano a distanza”. E il problema è il futuro rubato loro dagli “uomini grigi”, come nella storia d “Momo” di Michael Ende (una storia da rileggere e un film da rivedere).

Tra gli uomini grigi, oggi, ci sono giganteschi ladri di futuro che rispondono al nome di Donald Trump e Vladimir Putin, apparentemente avversari ma uniti contro il futuro dell’umanità:l’uno – contraddicendo tutte le evidenze scientifiche e le catastrofi ambientali che si abbattono anche contro gli USA – considera i cambiamenti climatici una bufala inventata dagli scienziati; l’altro – trascurando le conseguenze che derivano dall’innalzamento dei mari – considera lo scioglimento dei ghiacciai artici un’opportunità per la Russia di sfruttarne i giacimenti petroliferi. Del resto, non è un caso che entrambi, oggi, stiano rimettendo in discussione anche il Trattato contro i missili nucleari a medio raggio in Europa siglato nel 1987 da Donald Reagan e Michael Gorbaciov al culmine delle proteste dei movimenti pacifisti di allora, che portò alla progressiva dismissione di quelle testate nucleari, contro le quali si batteva la mia generazione di studenti. Che oggi, grazie a questi novelli Stranamore, rischiano seriamente di essere nuovamente dislocate contro le nostre teste.

A noi – giovani manifestanti di allora e adulti, più o meno, consapevoli di oggi – non rimane che accompagnare una nuova generazione di lotte per il futuro di tutti, secondo l’indicazione di Italo Calvino in conclusione de “Le città invisibili“: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Dare riconoscimento alle lotte di questi giovani ed aiutarli a farle durare e dare loro spazio. Per il futuro di tutti.

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