Politica

Le invocazioni dei bambini nel romanzo di Carmen Pellegrino

di Riccardo Bonacina

Dare voce ai fantasmi che non se ne vanno, i fantasmi di tutta una vita, di una biografia, ascoltare il suono leggerissimo delle ombre che si rivolgono a noi, non per spaventarci ma per svegliarci. Questo l’intento dichiarato del bellissimo romanzo di Carmen Pellegrino, La felicità degli altri (La Nave di Teseo, pag. 240, costo 18,00 euro), una testimonial preziosa del nostro progetto “Vita a Sud”.

Romanzo davvero magico perché come scrive la Pellegrino: "il fatto è che siamo viandanti nell'oscurità, ogni vita è qualcosa che non si potrà mai afferrare del tutto". Ogni vita è prosa e poesia, è canto e creazione, citazione e urlo, ricordo e immaginazione, nella scrittura di Carmen Pellegrino tutto ciò si intreccia e diventa davvero una magica armonia in una narrazione che conquista. Non sono un critico letterario, solo un discreto lettore e questo libro mi ha letteralmente conquistato. Vi si racconta la storia di Cloe, bambina rifiutata e donna in cerca di spiragli di luce nel buio del ricordo di un fratellino morto, come dirà: “Nell’inverno del mio cuore ho desiderato a lungo di essere amata” (pg 138).

Cloe troverà accoglienza e amicizia nella Casa sulla collina con il Generale e i suoi racconti, e i gesti che ricordano una carezza e Madame con le sue mani amichevoli capaci di sorreggere il cammino. Importanti per Cloe i racconti e gli insegnamenti del Generale che ammoniva: "Se impareremo a non avere timore del buio, non ci faremo ingannare dalle false lanterne; non sempre il chiarore indica la strada: San Paolo metteva in guardia dai finti angeli di luce”.

In definitiva, però, mi pare di cogliere un aspetto davvero luminoso nel romanzo della Pellegrino, quello di dar voce in questo particolare frangente all’invisibilità di infanzia e adolescenza in questo nostro tempo, ovunque e nel nostro Paese. Dove le esigenze e i diritti dei più piccoli, dei più giovani, vengono sempre dopo. Messe dallo Stato a piè di lista, mentre troppo, quasi tutto, si delega alle famiglie di appartenenza o al destino. I bambini sono considerati “bagagli appresso” dei genitori, appendici affidate alle loro cure, non cittadini degli spazi che abitano. Ecco Carmen Pellegrino ci fa invece sentire la voce, anche sofferente, di questi angeli.

“Le più profonde umiliazioni inflitte ai bambini, dice il generale, sono il segno che l’umanità ha in odio se stessa. Stavolta è al punto di non ritorno. È ancora ai bambini che guarda, siriani, messicani, i bambini soldato, gli abusati, gli annegati, quelli riversi su qualche sponda, ma le loro ferite – le più atroci che la storia umana abbia inflitto, le più ingiustificabili – non saranno sanate dagli uomini. I bambini, dice, dovranno salvarsi da soli. (…) I bambini, sono una sconfinata comunità solidale, così lontana dalle nostre community. Centinaia di giovanissime vite sono state spinte a muoversi da ciò che manca alla vita degli adulti, potremmo chiamarlo lievito immortale, desiderio di assoluto che in noi si è disseccato, consegnati come siamo alla superficie lubrica delle cose”. Non è un caso che nel romanzo si percorrano anche le orme de La crociata dei bambini di Marcel Schwob.

Sino a quell’ultima pagina che a me pare una vera preghiera all’Altissimo e che vi ripropongo.

Le più profonde umiliazioni inflitte ai bambini sono il segno che l’umanità ha in odio se stessa

Carmen Pellegrino

Eccola:

“La domanda che ti faremo non è quella che ti aspetti. Dovremmo chiederti cosa c'entriamo noi con le sofferenze del mondo, ma quale risposta potresti mai darci? Dopo tanta strada abbiamo deciso di cambiare la domanda. A volte la vita è dura per noi, ma ce la faremo. Come uccellini appena usciti dal nido, siamo gli ultimi arrivati, ma siamo anche i più lontani dal giorno in cui il mondo hai creato: siamo i più vecchi, i padri dei nostri padri, e per loro ti chiediamo salvezza. È una cosa che conosci, anche tuo figlio soffriva ma continuava a proteggerti, ti chiamava “il padre mio” e mostrava le tue molte opere buone.

Puoi comprendere se ti chiediamo di salvare i padri nostri dal cuore che si impicciolisce e chiude. Sono soli e spaventati. Hanno paura di morire, e la loro paura più grande. Li osserviamo mentre difendono la loro vita, è giusto, ma non la riconoscono nella foglia d'albero, nella rondine in volo, non la vedono nel vicino di casa, nel povero che bussa, di chi disturba o di chi piange in silenzio.

Risana i loro occhi indifferenti e la bocca che offende. Calma le mani che picchiano. Ci maltrattano e sappiamo perché odiano il bambino che in loro è rimasto ammutolito. Se potessi parlare a quel bimbo, mandargli un segno della tua presenza, assieme a questo nostro messaggio: venga tra noi, lo ameremo. Più di tutto, perdona loro quando non sanno quello che fanno. Sarebbe bello se tornassero a camminare insieme. La nebbia di nuovo li avvolge, impenetrabile più di prima. Hanno valicato la montagna senza tremare sul ciglio del mondo. Lui si sta rialzando, avviandosi verso alla grotta. Uno smisurato soffio d'aria dissolve la nebbia. Ritornano le teste dei bambini, sfavillano colpite dalla luce. Grida allegre, risate. La morte non è fatta per loro”.

Già, la morte non è fatta per loro.

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