Volontariato

Le invasioni barbariche

Si chiama clausola ostativa, è l’opzione che i paesi della vecchia Europa si preparano a esercitare per chiudere le porte ai popoli della nuova Europa.

di Carlotta Jesi

Toni bellicosi: “Europei, tremate”. E titoli sparati in prima pagina da attacco cardiaco: “Milioni di stranieri alle porte”. Un nuovo attentato di Al Qaeda? No. La minaccia che da settimane preoccupa i media dell?Europa unita, dai più piccoli giornali di destra alla Bbc che ha messo nel mirino i laburisti di Blair, è un?altra. L?invasione barbarica del Vecchio Continente che avrà inizio il primo maggio. Quando 10 nuovi Paesi, e i 75 milioni di persone che li abitano, entreranno a far parte dell?Ue. O meglio: invaderanno i suoi 15 Stati più ricchi in cerca del lavoro e di assistenza sociale, tuonano giornali e tv. Citando due dati (il 20% dei 40 milioni di polacchi disoccupati e un potere d?acquisto medio che nei Paesi entranti è il 45% di quelli già membri dell?Unione) che da soli sono bastati a creare il panico dello straniero. Panico cui i governi dei Quindici hanno risposto mettendo i lucchetti al loro mercato del lavoro grazie a misure transitorie, che variano da Stato a Stato, per regolamentare l?ingresso dei nuovi europei. Unica eccezione, la Gran Bretagna: dal primo maggio, i cittadini dei 10 Stati membri potranno entrare a far parte della sua forza lavoro. Ma si tratta di un accesso teorico – per due anni non potranno chiedere sussidi e verranno rimpatriati se non guadagnano abbastanza per mantenersi – che il governo Blair avrebbe già trovato il modo di scoraggiare: a detta del settimanale Times, intende tappezzare l?Europa centrale con manifesti che presentano il Regno Unito come l?inferno di chi cerca un impiego. Terrorismo psicologico? Libere solo le merci Di più, giura la società civile che da anni lavora sul problema dell?immigrazione: un panico, creato ad arte da organi d?informazione e governi, che non ha alcun fondamento. “Da maggio, a circolare liberamente per l?Ue, saranno solo le merci dei 10 nuovi Stati membri”, spiega Christopher Hein del Centro italiano rifugiati. “Il cittadino singolo il diritto di muoversi per trovare lavoro non l?avrà”. In mancanza di una regola comunitaria che vincoli i Quindici a una determinata politica di accoglienza, infatti, i nuovi europei che cercano impiego in uno Stato del Vecchio Continente dovranno attenersi alle regole che esso impone agli immigrati dei Paesi terzi. Il che, per l?Italia, significa fare domanda di impiego a distanza ed essere chiamato da un datore di lavoro che non t?ha mai visto in faccia. Già, perché il ministro del Welfare, Maroni ha deciso di adottare una moratoria di minimo due anni. “Dal primo maggio”, conferma Gianfranco Schiavone del Consorzio italiano solidarietà, “uno sloveno che cercasse lavoro nel nostro Paese avrebbe gli stessi diritti di un thailandese. Cioè resterebbe un extracomunitario. Per il momento, non sono previsti meccanismi di ingresso su domanda o un?esenzione dal decreto flussi”. Ma la paura dello straniero è infondata anche per un altro motivo. Contrariamente a quanto sostengono i media, tra cui l?inglese The People che parla di 4 milioni di immigrati pronti a sbarcare nel solo Regno Unito – sembra che la maggioranza dei nuovi cittadini dell?Ue non abbia alcuna intenzione di emigrare. A sostenerlo è lo studio Migration trend in an enlarged Europe che la Commissione europea e la Fondazione per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di Dublino hanno presentato il 26 febbraio. Spiegando che, anche in condizioni di piena libertà di movimento, la temuta invasione del Vecchio continente riguarderebbe solo l?1% della popolazione in età da lavoro nei prossimi cinque anni. E cioè al massimo 220mila persone l?anno in un?Unione di 450 milioni di abitanti. Il loro identikit? Barbari cum laude “Giovani, già ben istruiti o iscritti all?università, single”. Barbari, insomma, che rischiano di creare più problemi nei Paesi d?origine che in quelli d?emigrazione. Il rischio, secondo il Commissario europeo per l?Occupazione e gli Affari sociali, Margot Wallstrom, “è di un brain drain, o fuga di cervelli, dall?Europa centrale”. Lo provano i numeri raccolti dalla Commissione – solo il 2% dei disoccupati dei nuovi Stati membri vuole emigrare contro il 3% di giovani tra i 15 e i 24, di cui un quarto in possesso di laurea – e lo confermano gli europei dell?Est che già vivono nel nostro Paese. Come Agata Filipiak Gibala, 35enne polacca che vive a Roma dividendosi tra il lavoro di segreteria e quello di mediatrice culturale: “Tutta questa voglia di emigrare dei nostri connazionali, a me non risulta. Si dice che solo il 2% dei polacchi sia pronto a lasciare il Paese, e si tratta soprattutto di single ben istruiti. In Polonia si aspetta il primo maggio più per vedere come cambieranno i prezzi, e i bilanci delle famiglie, che per scappare. Negli ultimi anni, l?emigrazione verso l?Italia è diminuita ed è aumentato il numero di chi torna in patria”. Ma innalzare barriere servirà davvero a frenare la fuga dei cervelli dell?Europa centrale che, solo in Bulgaria e Romania, nei prossimi 5 anni potrebbe interessare il 10% dei giovani? Emma Bonino, già Commissionario europeo per gli aiuti umanitari, è convinta di sì: “Le restrizioni alla circolazione della mano d?opera fino al 2011 sono una violazione del diritto di cittadinanza dell?Ue. Il problema è che, come per la Grecia, la Spagna e il Portogallo, c?è un periodo di transizione e di aggiustamento, prima di ottenere la full membership. La Spagna, per esempio, entrò nel 1986, e diventò full member solo nel 1996. In questi termini io capisco l?attesa, perché né i Paesi entranti né noi abbiamo l?interesse a causare una fuga di cervelli. Se vogliamo che l?Europa sia anche un modo di far crescere i nuovi Stati membri, io credo che il periodo di transizione sia giusto. Anche se, 10 anni, forse sono un po? troppi”. E anche se, proprio dalle restrizioni imposte negli anni 80 a Grecia, Spagna e Portogallo, l?Europa dei 15 oggi potrebbe trarre un?importante lezione: al tempo del loro ingresso nell?Unione, la tanto temuta invasione non si verificò. Secondo il British Home Office, al massimo 10mila greci e 7mila portoghesi l?anno emigrarono in un altro Paese europeo. E gli spagnoli che tornarono in patria subito dopo l?allargamento furono di più di quelli che invasero il Vecchio continente.


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