Fotografia
Le immagini raccontano la nostalgia degli esuli dell’ex Jugoslavia
Sono passati trent’anni dalle guerre e dalla dissoluzione dello stato jugoslavo. Il fotografo Marco Carmignan racconta come ha reso in fotografie e brevi video il progetto europeo Moj Dom/Casa mia. Obiettivo: mostrare le testimonianze di chi è fuggito e ora vive in Italia. Una mostra fotografica, un film e una pièce teatrale realizzata in Slovenia sono il risultato della ricerca che ha indagato il legame tra oggetti e identità
Sono oltre 70mila le persone che tra il 1991 e il 1995 si sono rifugiate in Italia fuggendo dalle guerre che hanno sognato la dissoluzione della Jugoslavia. Sono passati trent’anni e la maggior parte di quelle persone vive ancora qui in Italia. E proprio a loro si è rivolto il progetto europeo Moj Dom, coordinato dall’organizzazione organizzazione indipendente Codici.
Una ricerca per comprendere come ricostruissero il senso di casa le tante persone che vivono oltre che in Italia anche in Austria, Croazia, Germania e Slovenia. I risultati di questi due anni di ricerca hanno portato alla creazione di un kit didattico, una mostra fotografica e, in Slovenia, alla produzione di uno spettacolo teatrale.
La mostra
A Milano, a novembre si è potuta visitare la mostra fotografica Moj Dom / Casa mia. Ritratti, oggetti e memorie a 30 anni dalla dissoluzione della Jugoslavia che ha raccolto le storie di trentacinque oggetti, rappresentativi del senso di casa per alcune delle persone intervistate in Italia.
Questi oggetti, carichi di significato – ricordano da Codici – sono stati condivisi spontaneamente dalle persone che hanno vissuto il conflitto durante quattro eventi aperti, detti collection days, curati tra il 2023 e il 2024 dall’associazione di storia contemporanea Laboratorio Lapsus e da Codici.
In queste occasioni, il fotografo Marco Carmignan ha realizzato dei dittici video che mettono in dialogo i ritratti delle persone con gli oggetti scelti.
«Prima di far partire la mostra, Codici ha fatto molte interviste alle persone e proprio durante queste è emerso che molti raffiguravano la propria casa con degli oggetti», racconta Marco Carmignan. «Quindi ho iniziato a fotografare gli oggetti. Si era pensato così di realizzare il classico stile life, come un catalogo… ma non funzionava».
Far parlare gli oggetti
Nasce così l’idea di dar voce agli oggetti «e chi meglio delle stesse persone che sono fuggite dall’ex Jugoslavia? È nata proprio così l’idea di realizzare dei dittici, ma non dei semplici ritratti fotografici. Abbiamo realizzato dei video ritratti».
Sono nati così i 35 dittici dove a sinistra c’è il ritratto parlante della persona e a destra l’oggetto o gli oggetti che si sono portati via quando sono fuggiti.
Come sottolinea Carmignan «quella che abbiamo affrontato è una tematica molto delicata perché parlavamo di guerra attraverso le case. Per cui ho fatto in modo di mettere le persone a proprio agio».
Così sono nati i due set, uno per gli oggetti e uno per il ritratto video. «Io chiedevo alle persone di raccontare in un minuto perché avessero scelto quell’oggetto. C’è stato chi in 20 secondi spiegava tutto e chi invece sentiva la necessità di raccontarsi prendendo più tempo», continua il fotografo.
Uno dei problemi in questo tipo di operazioni è capire quanto c’è del fotografo nel risultato finale. Per questo Carmignan osserva «è vero, non è la mia storia, è quella di qualcun altro. È importante dare spazio alla persona e alla sua storia che poi io veicolo con il mio approccio visivo. Alla fine c’è sempre una scelta».
Marco Carmignan, 33 anni, ha alle spalle diversi anni di esperienza come fotografo e filmmaker per il National Geographic Explorer e non è la prima volta che si trova ad avere a che fare con progetti di questo tipo come “Reznica” (con il National Geographic-ndr.) «in cui ho incontrato persone che in Serbia vivevano ancora come rifugiati ed è stato molto impattante a livello emotivo».
Protagonista della foto non è il dolore
Questo nuovo progetto, ammette «l’ho affrontato con maggior serenità e distacco, non ho lavorato sulla guerra, ma sul concetto di casa e le persone si sono aperte erano più serene» spiega. «Non ho fotografato il dolore, ho cercato di rispettare la dignità di ciascuno».
Dai distici e dai racconti del video ritratti emerge un sentimento dominante: la nostalgia. «certo c’erano anche altre emozioni, ma in nessuna c’era sofferenza e dolore»
Gli oggetti portati sono stati i più disparati: vecchie fotografie, strumenti per preparare o servire il caffè, foulard, ciondoli e anche un tappeto
Tutte le immagini e il video da ufficio stampa
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