Giustizia

Le grandi potenze e il “vizietto” di sentirsi al di sopra del diritto internazionale

124 Paesi hanno ratificato lo statuto di Roma che ha istituito la Corte Penale Internazionale. Dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, mancano all'appello Cina, Russia e Usa. Troppo pericoloso delegare a un soggetto terzo indipendente e imparziale, le competenze che riguardano i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità e il genocidio: il cerino del diritto internazionale rimane acceso tra le dita degli europei. Che rischiano, però, di scottarsi

di Paolo Bergamaschi

Sono 124 i Paesi che hanno firmato e ratificato lo statuto di Roma che nell’ottobre del 1998 ha istituito la Corte Penale Internazionale (CPI). Dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, mancano all’appello Cina, Russia e Usa ovvero tre delle quattro grandi potenze che occupano la scena politica globale (la quarta è l’Unione europea ma è un caso sui generis).

Troppo pericoloso delegare a un soggetto terzo indipendente e imparziale, quindi incontrollabile e difficilmente manipolabile, le competenze che riguardano i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il genocidio. I grandi hanno il vizietto di sentirsi al di sopra del diritto internazionale anche se poi lo invocano quando conviene.

Washington ha appoggiato vigorosamente l’indagine degli inquirenti della Corte Penale in Ucraina plaudendo al mandato di arresto che pende dal febbraio del 2023 su Vladimir Putin. Mosca, in risposta, ha a sua volta emesso un mandato di cattura nei confronti di Karim Khan, il procuratore che ha osato sfidare l’inquilino del Cremlino. Anche Israele ha reagito con rabbia lo scorso mese alla richiesta di incriminazione del giudice Khan nei confronti di Benjamin Netanyahu per i crimini commessi dai soldati israeliani nella striscia di Gaza.


Questa volta, tuttavia, il segretario di stato americano Anthony Blinken ha immediatamente bollato come vergognosa l’iniziativa di Khan seguito dal presidente Joe Biden che l’ha definita oltraggiosa. I vertici del Congresso americano, addirittura, si sono spinti oltre invitando Netanyahu a tenere un discorso a fine luglio davanti alla Camera dei Rappresentanti e del Senato in seduta congiunta che suona come un avvertimento se non una minaccia nei confronti dei giudici della Corte Penale. D’altronde già nel 2020 l’allora presidente Donald Trump aveva adottato sanzioni contro i procuratori del tribunale per le indagini che stavano svolgendo sui presunti crimini dei militari americani in Afghanistan.

“L’adozione dello Statuto di Roma ha rappresentato un importante passo avanti nell’evoluzione dell’ordinamento giuridico internazionale e una svolta nella lotta globale contro l’impunità. La CPI è la prima istituzione giudiziaria penale permanente di carattere universale istituita per perseguire gli autori dei crimini più gravi che assillano l’intera comunità internazionale…. Chiediamo a tutti gli Stati che non l’hanno ancora fatto di ratificare o aderire allo Statuto di Roma per porre fine all’impunità per gli autori dei più gravi crimini internazionali…. Continueremo a fornire sostegno politico e finanziario alla Corte, per consentirle di svolgere efficacemente il suo mandato anche a favore delle vittime….”, recita il comunicato stampa dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune dell’Ue Josep Borrell pubblicato due anni fa in occasione dell’anniversario dei vent’anni dall’istituzione della Corte.

Pochi sanno che dal primo maggio del 2006 è in vigore un accordo fra Ue e CPI che vincola l’Unione a promuovere e a garantire l’indipendenza della Corte e a sostenere il suo funzionamento efficace. Non potrebbe essere altrimenti visto che il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite sono il perno su cui poggia la Politica Estera e Sicurezza Comune come stabilito dai trattati europei. Da troppo tempo, però, la diplomazia europea fa finta o è costretta a muoversi nell’ambiguità. C’è un fossato profondo che divide le due sponde dell’Atlantico che prima o poi le parti saranno chiamati ad affrontare. Da una parte Bruxelles pone il sostegno alla CPI al centro della sua azione esterna mentre dall’altra Washington non perde occasione per picconarla ogniqualvolta non ne gradisce l’intervento.

Negli ultimi tempi i leader occidentali hanno tacitamente superato l’ostacolo utilizzando nei comunicati congiunti la formula “ordine internazionale basato sulle regole” (in inglese “rules-based international order”) che però non risolve affatto l’equivoco di fondo cioè di quali siano le regole e chi le interpreta. Per gli americani sono, ovviamente, quelle stabilite da loro, per i russi quelle decise a Mosca, per i cinesi quelle che fanno comodo a Pechino. Il cerino del diritto internazionale rimane acceso tra le dita degli europei. Che rischiano, però, di scottarsi.  

Credit foto Peter Dejong/Associated Press/LaPresse                        

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