Non profit

Le Fondazioni: “Ora basta chiamarci bancarie”

"Ci appiccicano un’etichetta che non ci appartiene più", ha detto Giuseppe Guzzetti.

di Francesco Maggio

“Facciamo scomparire la denominazione ?di origine bancaria?. Prima scompare questa denominazione, meglio è per tutti, perché così si smetterebbe di confondere le fondazioni con le banche. Bisogna che le fondazioni siano chiamate fondazioni, senza sottolinearne l?origine bancaria che è terminata con la vendita dei patrimoni”. Ha colto un?occasione importante Giuseppe Guzzetti, la presentazione dell?edizione 2004 dell?Oscar di bilancio, per lanciare una provocazione che poi in realtà non è altro che una proposta piena di buon senso. Molto chiaro e lineare, infatti, è il ragionamento che fa il presidente dell?Acri e della Fondazione Cariplo. Visto che le fondazioni di origine bancaria, sostiene Guzzetti, hanno dismesso pressoché totalmente il controllo delle banche (rimangono una quindicina di piccole fondazioni, con un patrimonio inferiore ai 200 milioni di euro che, per legge, possono ancora detenerlo) perché si continua a guardare a questi enti ancora, prevalentemente, come a casseforti del sistema bancario? Perché si continua a distogliere l?attenzione da quella che, invece, è la loro vera natura, ?conclamata? peraltro in maniera ineccepibile, dalla sentenza n. 300 della Corte Costituzionale del 29 settembre scorso che le ha definite “soggetti organizzatori delle libertà sociali”? Il discorso, come si suol dire, non fa una piega e visto che è in corso la riforma del libro primo del Codice civile, sarebbe opportuno che si cogliesse questa opportunità per far entrare nel codice anche la figura delle fondazioni ex bancarie. A quel punto, davvero si metterebbe definitivamente la parola fine a un processo cominciato agli inizi degli anni 90 quasi per caso (un “accidente della storia”, l?ha definito proprio Guzzetti) e si aprirebbe un nuovo capitolo per il non profit italiano. Ma se questa è la posizione di chi, con coraggio, ha saputo traghettare nel porto sicuro dell?autonomia la ?nave fondazioni? tra le tempeste della riforma Tremonti, che ne pensa il resto del sistema? Un sistema che, peraltro, dimostra di godere sempre più di ottima salute come attestano i dati recentemente resi noti dall?Acri in concomitanza della giornata nazionale delle fondazioni. Lo abbiamo chiesto al professor Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Cassa di risparmio di Roma e vicepresidente dell?Acri, da sempre tra i più strenui difensori dell?indipendenza delle fondazioni: “Sono totalmente d?accordo con il presidente Guzzetti”, esordisce, “la sua è una proposta pienamente condivisibile. Purtroppo le fondazioni si portano dietro il marchio di ?bancarie? ed evidentemente non serve a nulla ripetere che ne abbiamo ceduto il controllo ormai da anni e che ci interessa solo fare bene il ?bene?”. “D?altronde”, continua Emanuele, “siamo di fronte a un caso alquanto singolare. Per esempio, quando si parla di Fondazione Olivetti, nessuno si sogna di aggiungere che si tratta di una fondazione che origina dalle macchine da scrivere, oppure che la Fondazione Ford proviene dal settore auto. Solo nel caso delle nostre fondazioni si continua a marcare l?origine bancaria mentre, al contrario, bisognerebbe porre l?accento sul futuro che attende questi enti. Un futuro che, grazie alle sentenze della Consulta, può davvero rivelarsi roseo. La sentenza n. 300 parla chiaro, ci attribuisce il ruolo di soggetti organizzatori delle libertà sociali. Ciò significa che le fondazioni devono dimostrarsi fedeli interpreti di un compito che consiste nel dare le risposte organizzate più appropriate ai bisogni delle nostre comunità di riferimento e che, nel caso della fondazione che presiedo, riguardano innanzitutto interventi sociali ed emergenziali”. Presidente, lei quindi è d?accordo sull?ipotesi di includere la ?figura? nel Codice civile? “Assolutamente sì”, risponde Emanuele, “è dal 1992 che propongo una riforma del codice che includa la figura delle fondazioni di origine bancaria. Purtroppo gli anni recenti sono stati anni durante i quali abbiamo dovuto dedicare molte energie a respingere ogni tipo di attacco alla nostra autonomia, di tentativo di intromissione nella nostra attività. Mi auguro che finalmente, stavolta, si possa ragionare pacatamente sul ruolo strategico che le fondazioni possono svolgere per il bene del Paese. E già chiamarle correttamente, può essere un primo buon segnale in proposito”.


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