Welfare
Le feste coi “miei”
Il detenuto più celebre dItalia scherza sul suo Natale:"Questanno resto con la mia famiglia. Che ormai è composta da carcerati di tutte le razze".
??Ti abbiamo portato un regalo di Natale: un panettone piccolo piccolo», gongola Claudio Olivato, fotografo e amico di Adriano Sofri fin dai tempi sarajevesi. «Come ci siete riusciti? Vi vedo emozionati: avete fatto la vostra piccola marachella… Beh, Non sarà la prima volta che passo il Natale in carcere. Mi era già successo anni fa, da ragazzo, a Torino», commenta Adriano.
E cosa significa per te trascorrere quel giorno in carcere?
«Secondo gli insegnamenti di Gesù, il posto migliore dove far festa è vicino agli ultimi. Una volta si andava a Sarajevo per aderire al senso di quella festa, non tanto per festeggiare con i sarajevesi, che sono quasi tutti musulmani. Ormai anche le carceri stanno diventando a maggioranza islamica. Come a Sarajevo. Ci sono tanti extracomunitari musulmani. Il problema sarà di renderli partecipi dell?atmosfera del Natale in un clima meno tetro. La considero una festa importante, non come Capodanno che è una festa stupida».
Ma come pensi che sarà questo Natale?
«Natale non è Natale senza regali. Avremo anche noi il nostro regalo dall?amministrazione carceraria: una bottiglia di vino con la quale tutti si ubriacheranno. Molti detenuti mescoleranno delle medicine al vino e l?ubriacatura sarà più facile. Sarà un giorno particolarmente triste».
Riuscirai a vedere i ?tuoi??Adriano sorride. «Natale con i tuoi: chi sta in carcere ne sente particolarmente il bisogno. I miei sono gli altri detenuti. I familiari invece potremo vederli solo il 27 o il 31 dicembre».
E la messa, sai già come sarà?«Il cappellano del carcere si chiama don Severo, ma non è severo, anzi è molto buono. La novità di quest?anno è che faranno una messa di Natale congiunta tra la sezione penale, dove si scontano le pene definitive e quella dei detenuti in attesa di giudizio, che è la più affollata e squallida. A messa saremo tutti insieme e saremo tanti, quasi tutti. Anche gli extracomunitari. Ma c?è anche una ?liturgia? culinaria. In carcere diventano decisive poche cose, in particolare la cucina. Nella preparazione del Natale c?è un gran daffare gastronomico che richiede un vero e proprio talento perché si ha a che fare con una cucina molto povera, che ricorda quella etnica vietnamita. I detenuti cucinano con dei fornelletti da campo a gas che sono molto pericolosi e spesso sono causa di incidenti. Molti cosiddetti suicidi sono invece incidenti. Io mi ritengo fortunato, ma la maggior parte dei detenuti non ha una lira e lo spaccio ha prezzi molto alti. Possiamo spendere fino a 700 mila lire al mese».
Ma i parenti vi spediscono dei pacchetti?
«Non possiamo ricevere frutta o uova per esempio e mi hanno sequestrato anche una bellissima palla di Natale che mi ha mandato per posta una mia amica. Pensa che fino a poco tempo fa non potevamo indossare neanche i cappotti».
Come trascorri le tue giornate?
«Io sono fortunato perché ho una cella singola. Ce ne stiamo 17 o 18 ore chiusi in cella e si sente sempre un gran fragore di chiavistelli. Dalle 9 del mattino alle 11,30 e poi dalle 13 alle 15,30 possiamo socializzare. La mia cella si trova al piano terra dove sono detenuti quasi tutti tossicodipendenti sieropositivi e affetti da epatite C. Al secondo piano ci sta Pietrostefani, che è quello che ingrassa di più perché i suoi vicini sono quasi tutti napoletani e siciliani con il culto della cucina. Sono i detenuti più vecchi e socievoli e hanno costituito una sorta di società conviviale. Al terzo piano vive Bompressi. Lì sono quasi tutti arabi e lui vi si dedica silenzioso. È un?asceta. Mangia pochissimo, come un uccellino, ancor prima che cominciassimo lo sciopero della fame per solidarietà con le questioni del carcere».
In quell?occasione erano tutti molto preoccupati per voi.
«Non abbiamo mai pensato che dovesse essere uno sciopero della fame a oltranza. Quello lo faremo solo se non sarà accolta l?istanza di revisione del processo. Farlo prima non avrebbe avuto alcun senso».
Curiosa questa divisione per categorie secondo il piano. A che cosa è dovuta?
«Il carcere è come un orto botanico. C?è un istinto classificatore naturale. Si verifica una polarizzazione regionale a cui non si sottraggono neppure i secondini. I sardi stanno con i sardi, i siciliani con i siciliani e così via.
La vera novità invece è che le donne sono entrate a far parte del panorama carcerario. Ci sono figure di assistenti sociali, di dottoresse, di psicologhe. Questo ha stemperato la tensione da privazione sessuale con l?effetto di deprimerla, perché sono donne asessuate in quanto coincidono con il loro ruolo».
Ma ora forse le cose cambieranno…
«Non dire ora, non esiste questa parola in carcere».
E Claudio Olivato: «Ho saputo che le carceri svedesi hanno programmi molto avanzati in materia…», e giù tutti a ridere. Adriano si alza e ci saluta: «Oggi è il compleanno di mio figlio Luca. Potete fargli i miei auguri? Ditegli che l?istanza di revisione del processo è stata inoltrata in questo giorno perché oggi è il suo compleanno e non perché è l?anniversario della morte di Pinelli. E portategli il panettone piccolo piccolo come regalo».
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