LLa Val di Genova, nel Trentino occidentale, celebrata per le sue bellezze naturali da alpinisti e viaggiatori, subisce da decenni uno scempio: quello delle cave. Salvata negli anni 60 e 70 dallo sfruttamento idroelettrico e dal totale prosciugamento grazie ad uno straordinaria campagna nazionale di opinione pubblica, la valle fu destinata a parco nel 1967. La legge provinciale istitutiva del Parco naturale Adamello Brenta, approvata con un ritardo di ben vent’anni, porta la data del 6 maggio 1988. Tra tutte le meraviglie naturali presenti in Val di Genova, la più rilevante è costituita dalle cascate del Lares, che precipitano verso il Sarca. Soprattutto in epoca di disgelo, all’inizio dell’estate, il visitatore può ammirare, ben alta sopra le cime degli alberi, una nuvola d’acqua che si disperde nell’aria. Ebbene, proprio di fronte alle cascate sono collocate, tuttora in piena attività, tre cave di granito, la maggiore delle quali, gigantesca, annulla il grandioso spettacolo naturale. Nonostante la legge del 1988 disponesse il divieto di nuove cave e miniere, il trucco adottato da Ente Parco e Provincia autonoma per rendere definitiva la presenza delle cave fu quello di incaricare un “esperto” per stabilire le «linee progettuali di coltivazione sostenibile e recupero ambientale» delle tre cave di tonalite. L’esperto indicò in 225mila metri cubi il materiale estraibile, e 25 anni per il recupero ambientale. Ciò a causa del secondo comma di tale legge, che precisa «il Piano del parco fissa le prescrizioni per le cave all’atto esistenti». Su questo comma si gioca da anni una partita politico-giudiziaria che vede il WWF Italia tra i principali protagonisti, con ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato. Sequestrate per due volte dalla Procura della Repubblica per l’evidente incongruità della loro collocazione, le cave sono ancora in attività, e si attende il pronunciamento del Consiglio di Stato per il ricorso in appello del WWF.
Francesco Borzaga
presidente WWF Trentino Alto Adige
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